Trent’anni di storia della nostra Italia: raccontare per non dimenticare

Cosa nostra, con il suo veleno, ha macchiato di sangue la nostra nazione per decenni. Attentati, stragi, e collusioni hanno messo in ginocchio l’Italia, portandola a smarrire, per un certo periodo, quella “dritta via” che Dante avrebbe definito essenziale. In quel clima, quasi non si riusciva a capire di chi potersi fidare. Erano gli anni delle stragi, dei silenzi complici, dei coraggiosi sacrifici di uomini dello Stato che pagarono con la vita il loro impegno per la giustizia.

Noi dell’UCIIM, in qualità di educatori e insegnanti, ci poniamo una missione chiara: tenere vivo il ricordo e coltivare la memoria. Attraverso incontri con familiari di vittime di mafia, uomini dello Stato e autori impegnati nel racconto della verità, desideriamo restituire agli studenti una visione più ampia e completa di quel periodo buio. Le pagine dei libri di storia, infatti, spesso si limitano a una sintesi sterile: il maxi-processo, scritto all’Asinara da Falcone e Borsellino, portò a 475 mandati di cattura e a una condanna complessiva di 2665 anni di carcere. Subito dopo, i testi storici sembrano quasi giustificare le stragi di Capaci e via D’Amelio come un’inevitabile conseguenza del loro operato, quasi fosse un destino scritto.

Ma le cose non sono così semplici. Bisogna fare chiarezza– un termine impegnativo, ma necessario. La mafia non è stata debellata, ma ha subito un colpo durissimo. Falcone e Borsellino avevano scoperto tanto, anche quel che di più scomodo si possa immaginare, toccando nervi scoperti di una rete di connivenze e silenzi che superava i confini dell’isola.

Il maxi-processo: un percorso cominciato molto prima

Perché nei libri non si racconta come siamo arrivati al maxi-processo? Perché gli studenti non leggono di Giorgio Boris Giuliano, il commissario che per primo intercettò i legami con l’America e la Pizza Connection, o di Rocco Chinnici, il padre del pool antimafia, che intuì la necessità di un lavoro di squadra per contrastare un fenomeno così radicato e pericoloso? Il coraggio del giudice Chinnici, assassinato nel 1983, pose le basi di un percorso che Falcone e Borsellino avrebbero proseguito con determinazione.

La storia del maxi-processo è inseparabile dal “Rapporto dei 100” redatto da Ninni Cassarà, un documento che elencava nomi, connivenze e legami della mafia palermitana con il potere economico e politico. Quel rapporto, frutto di indagini meticolose e di intuizioni straordinarie, costò la vita a Cassarà nel 1985, ma rappresenta tuttora un baluardo di verità e coraggio.

Rendere giustizia alle vittime dimenticate

Prima delle due stragi che segnarono la fine di Falcone e Borsellino, tante altre furono le vittime della mafia: giornalisti, imprenditori, forze dell’ordine, magistrati. Erano uomini e donne che compresero la pericolosità di un fenomeno che non riguardava solo la Sicilia, ma l’intero Paese. Raccontare le loro storie significa restituire umanità e memoria a una lotta che troppo spesso viene ridotta a un’astratta battaglia tra il bene e il male.

L’importanza degli incontri formativi

Crediamo fermamente che, attraverso incontri formativi, gli insegnanti possano raccontare ai giovani non solo la storia della mafia, ma anche la forza di chi ha lottato contro di essa. La conoscenza è lo strumento più potente per rendere omaggio alla memoria e per costruire una società migliore.

Riteniamo essenziale proporre un approccio integrato: dalle testimonianze dirette dei familiari delle vittime, come Giovanni Impastato, alle parole degli autori che hanno saputo narrare con lucidità e sensibilità quel periodo, come Dario Levantino o Mari Albanese. Questi incontri non sono solo momenti di approfondimento, ma autentiche occasioni per risvegliare le coscienze, per far comprendere che il coraggio di pochi può generare un cambiamento per molti.

Un impegno che guarda al futuro

Raccontare la storia non è solo un dovere verso il passato, ma una responsabilità verso il futuro. Come educatori e come UCIIM, vogliamo essere testimoni di quella memoria viva, che non si arrende al silenzio. Perché la mafia, purtroppo, esiste ancora. Ma esiste anche la capacità di resistere, di lottare, di immaginare un Paese migliore. E questa è una lezione che non possiamo permetterci di dimenticare.

Filippo Tomasello.