UNA RIFORMA DI RESPIRO EUROPEO
di Giancarlo Sacchi
Introduzione
Siamo nel pieno del secondo anno di sperimentazione della riforma dell’Istruzione tecnica e professionale, un intervento che introduce importanti novità, tra cui la nuova articolazione del percorso in 2+2+1 e l’ingresso di docenti provenienti direttamente dalle aziende interessate a collaborare con le scuole. L’obiettivo dichiarato è quello di creare un sistema formativo più aderente alle esigenze del mondo del lavoro di livello europeo, garantendo agli studenti una preparazione concreta e mirata.
Come ogni cambiamento di rilievo, anche questa riforma sta suscitando opinioni divergenti: c’è chi la considera un passo avanti significativo e chi, al contrario, ne evidenzia le criticità. Ma qual è il punto di vista dei soci UCIIM? Invitiamo i nostri lettori a condividere le proprie riflessioni scrivendo a newsletter@uciim.it. I contributi ricevuti saranno preziosi per la redazione di un documento che rappresenti il pensiero della nostra associazione su questa importante trasformazione del sistema scolastico.
Al via il secondo anno di sperimentazione della riforma dell’istruzione tecnica e professionale, un’iniziativa che viene da lontano e che l’attuale governo è impegnato a portarla in porto, sotto l’egida del PNRR. Si tratta di un intervento di cui si sentiva la necessità dalla fine del secolo scorso quando il comparto barcollava tra la licealizzazione degli istituti tecnici e la regionalizzazione dei professionali; compromessi politici e sindacali che hanno fatto rinunciare alla riorganizzazione di
un settore strategico, che nel dopoguerra ha fornito le necessarie competenze al rilancio soprattutto delle piccole e medie imprese e che oggi è diventata indispensabile per la internazionalizzazione delle stesse e le richieste di un mondo del lavoro condizionato dallo sviluppo tecnologico.
La riforma del Titolo Quinto della Costituzione poteva essere un’occasione, per l’introduzione dell’istruzione e formazione professionale, sfumata per questioni di governo dei due versanti: le convergenze parallele, sembrava che tutti volessero realizzare un’integrazione tra i due sistemi, ma poi le varie lobby interne ed esterne al sistema scolastico e formativo contribuivano a mantenere ben distinti, provocando disorientamento nell’utenza, spesso portatrice di notevoli criticità, nelle aziende che vedevano la scuola lontana dai loro bisogni formativi e la formazione professionale regionale insufficiente specialmente in quelle realtà di maggiore sviluppo produttivo.
La spinta europea ha smosso il pachiderma della scuola italiana, conferendo una maggiore dinamicità alla richiesta di competenze anche attraverso il riconoscimento delle qualifiche tra i diversi stati. Il PNRR è partito da questi presupposti e l’Italia, come al solito quando si tratta di riforme scolastiche, ha dovuto porsi all’inseguimento di un percorso che non ammetteva dispute ideologiche, alle quali noi siamo purtroppo abituati, ma richiedeva di costruire la nostra tessera in un mosaico più grande a sostegno dell’economia europea e quindi anche italiana.
L’attuale sperimentazione si inserisce perciò nei binari del PNRR e la filiera tecnologico-professionale così elaborata ha bisogno di consolidarsi al più presto, facendo attenzione ad evitare agguati parlamentari che potranno compromettere la riorganizzazione dell’intero settore, come è necessario, rimanendo in preda ad una legislazione colabrodo alla continua ricerca di provvedimenti tampone per ancorare le due parti tra di loro. Le indicazioni ministeriali per la sperimentazione compiono un deciso passo in avanti, ma nell’approvazione definitiva occorre con coraggio superare quelle rigidità che ancora condizionano soprattutto la governance.
Già la nuova denominazione non permette di aggrapparsi a vecchie strutture e quindi occorre vedere la nuova realtà, come indicato, in un’ottica di rete in cui la flessibilità sia il filo conduttore delle varie componenti del sistema. Si va verso il “doppio canale” all’italiana in modo più strutturato, uscendo dalla seconda opportunità in cui è rimasta per troppo tempo confinata
l’istruzione tecnica e professionale, attribuendo ad essa pari dignità con i licei, in quanto legata alla cultura del lavoro ed al suo sviluppo non solo tecnologico e organizzativo, ma anche sociale e di ricerca.
La nuova proposta va fondata sul principio dell’integrazione, che era già comparso alla fine del secolo scorso e realizzato in alcune regioni, tra l’obbligo scolastico e l’obbligo formativo, che poi però non ha funzionato perché gli istituti statali hanno difeso il loro personale ed i corsi regionali la miriade di enti formativi, in accordo con le regioni ed il ministero del lavoro.
Il primo livello di integrazione riguarda il ciclo di studi tra istruzione secondaria e terziaria: due bienni per la formazione di base e orientativa, che pongono la nostra scuola più in sintonia con diversi paesi europei e aderiscono al carattere anticipatorio di una formazione più adatta ai giovani molto capaci di vita sociale e stimolati dallo sviluppo tecnologico, in continuità con l’ultimo
biennio appartenente alla formazione superiore variabile in base alle esigenze del territorio, che non solo accorcia le distanze con le esigenze delle imprese, ma si pone come segmento di formazione ricorrente.
La seconda integrazione intende raccordare gli istituti statali con i centri regionali, nell’ottica di un rafforzamento reciproco: le scuole hanno bisogno di una maggiore flessibilità nel curricolo, per dare più spazio alla individualizzazione del progetto educativo ed alla esperienza laboratoriale, anche per migliorare l’orientamento che solo è in grado di diminuire i fallimenti e la dispersione, così come i centri devono aumentare la loro capacità di formazione generale.
La terza integrazione ha bisogno di un nuovo rapporto tra cultura generale e professionale. Le due culture non hanno più un rapporto gerarchico tra di loro, ma sono due facce della stessa medaglia che devono procedere insieme, in una visione di complessità che richiede la capacità di raccogliere dal lavoro e dalla produzione quelle competenze di carattere generale che devono sostenere il giovane intanto che sviluppa quelle professionali. Si deve andare oltre ad una impostazione prettamente disciplinarista per interessarsi delle competenze trasversali, organizzative, digitali, relazionali e sociali, che sono indicate anche dall’UE.
La quarta integrazione è quella tra scuola e azienda, aperta ad una reciproca frequentazione, che va dalla progettazione del curricolo alla valutazione degli apprendimenti. Occorre superare decisamente i vincoli dell’alternanza e dei PCTO, per andare in mare aperto, anche con contratti di apprendistato, con una buona presenza di personale docente proveniente dalle aziende, come nei CTS academy con i quali ci si dovrà raccordare per un’azione di coprogettazione a più soggetti ed una programmazione dei percorsi didattici sul territorio, in relazione ai distretti industriali ed ai laboratori di occupabilità. E’ su questi temi che si gioca il regionalismo differenziato nel campo dell’istruzione, anche per dar vita a progetti multiregionali e multisettoriali. Qui occorre un accenno alle tematiche della valutazione, per uscire da anacronistici intenti punitivi fine a se stessi,
ed impegnarsi sul piano della qualità degli apprendimenti, di nuovi ambienti di apprendimento, di acquisizione di crediti da spendere in presa diretta con il lavoro oppure in ulteriori percorsi di formazione.
L’ultimo aspetto dell’integrazione è da considerare nell’ottica della ricerca e dell’innovazione. Va valorizzata l’autonomia di ricerca e sviluppo, perché se da un lato le aziende chiedono competenze adatte ad entrare nel mondo del lavoro al presente, alla scuola compete di intervenire anche nelle professioni che non ci sono ancora ma che ci saranno in un futuro più o meno lontano, oltre al perseguimento di quella forma mentis che si faccia carico del cambiamento.
Le reti devono avere perciò uno sguardo verso la ricerca e l’innovazione con università e agenzie specializzate.
Su questi pilastri, che peraltro già compaiono nelle linee guida per la sperimentazione, potrà poggiare una riforma di sicura rilevanza per il nostro Paese e la sua internazionalizzazione, soprattutto verso i Paesi europei. Due canali, uno verso l’analisi della cultura e l’altro verso l’analisi del lavoro, di pari dignità, perché sostenuti da competenze di alto profilo e collegati con percorsi superiori, che consentono inserimenti occupazionali a diversi livelli e capaci anche di promuovere un’adeguata sensibilità nei confronti del made in Italy.