Da sette decenni l’Europa, patiti gli orrori della seconda guerra mondiale e dell’aberrazione morale che l’ha accompagnata, cerca incessantemente di costruire la pace. Non a caso la Costituzione italiana firmata il 27 dicembre 1947, all’art. 11 dichiara che il nostro Paese “ripudia la guerra”, mentre “favorisce le organizzazioni internazionali” al fine di contribuire a superare le controversie fra Stati. Tra i termini più presenti nei vari articoli spiccano quelli di libertà e giustizia, principi fondamentali per sostenere nel privato e nel pubblico la concordia e l’armonia civile.
La ricerca della pace fa parte della nostra storia millenaria e costituisce l’Eredità lasciata dai nostri Padri, discussa, ripensata ma mai interrotta, anzi maturata nel lungo periodo, nonostante le cadute e i tempi più o meno difficili. E il cammino dell’incivilimento umano deve proseguire…
La pace, bene assoluto, non si raggiunge una volta per tutte, ma va curata giorno per giorno e mantenuta come riferimento costante.
Forse, proprio per questo motivo è stata collocata dagli antichi, che sperimentavano frequenti conflitti, in una mitica età dell’oro, da vagheggiare con nostalgia nella speranza di rinnovarla soprattutto dopo guerre feroci, come ad esempio quelle avvenute a Roma nel I secolo a.C., che avevano portato, oltre a morte e paura, anche disordini morali ed economici.
Il poeta Virgilio (70 a.C. – 19 a.C.), sia quando si abbandona alla contemplazione lirica della natura, sia quando celebra le origini di Roma e le gesta di Enea mostra con l’immagine e la melodia come si può andare oltre l’angoscia delle guerre civili, da lui vissute personalmente, e assume il ruolo di cantore della nuova età augustea, che viene propagandata come età della pace universale. Nella famosa IV Bucolica annuncia con fervore la nascita del fanciullo che farà scomparire l’età del ferro e farà risorgere in tutto il mondo l’età dell’oro (8-9), e nell’Eneide prefigura “Augusto Cesare…che porterà di nuovo il secolo d’oro” (VI 791-92). E indica la peculiarità dei Romani: “Tu, Romano, ricorda di governare i popoli (questa sarà la tua arte) e di imporre le norme di pace, risparmiare i vinti e debellare i superbi” (VI 851-52)
La pace nel I secolo avanti Cristo viene chiaramente fondata sul mos, usanza, costume di buona vita.
Credevamo tutti, fino a pochi giorni fa, che quel pensiero, costruito attraverso i millenni e portatore di un livello alto di civiltà, ci appartenesse per sempre, proteggendoci dall’infamia della guerra.
Senza dimenticare la tradizione cristiana che ha nutrito ed elevato il senso della pace, portando il concetto di humanitas a quello di sapientia.
Invece, forse feriti dalla pandemia, non abbiamo vigilato abbastanza e adesso vediamo con sgomento i segni tragici delle armi, la disperazione di un popolo aggredito.
Dobbiamo diffondere il modello della cura. Non facciamo come Caino che risponde al Signore “Sono forse io il custode di mio fratello?” (Genesi, 4, 9), ma proponiamoci di essere custodi gli uni degli altri per custodire la pace. Ascoltiamo la parola di Dio e ascoltiamo ogni uomo nella sua dignità.
Maria Teresa Lupidi Sciolla