LA SCUOLA E L’UOMO - Anno LXXIX- Numero 7-8 - Luglio-Agosto 2022 12 un gruppo di persone molto motivate nello studio e nell’impegno per gli altri detenuti, che si trovano in uno dei bracci del Nuovo complesso, il carcere più grande tra i quattro che si trovano nella zona di Rebibbia. Li chiamo affettuosamente «gli Accademici», sono nostri ex studenti che hanno scelto di laurearsi, in Giurisprudenza, Economia, Filosofia. Diversi tra loro sono ergastolani, sono comunque persone di età anche avanzata o che probabilmente non termineranno la reclusione se non tra numerosi anni, ciononostante ritengono comunitariamente che la loro esperienza di studenti sia qualcosa da mettere a disposizione degli altri, reputandosi, come hanno voluto intitolare un loro libro collettivo, chiamato significativamente «Naufraghi in cerca di una stella» (6). Vado spesso in carcere, cerco di incontrare i detenuti e di parlare con loro, perché ritengo che essere compagni di viaggio per queste persone, scrutare insieme le stelle, migliorare gli ambienti scolastici nella reclusione significa attuare al più alto livello il dettato costituzionale e il nostro compito di docenti. Essere comunità significa confrontarsi continuamente, condividere scelte critiche e proposte progettuali, mentre l’esperienza comunitaria in carcere viene compressa, a volte fino a scomparire. Ho avuto l’idea di istituire una cerimonia dei diplomi e delle pagelle a tutti gli studenti, un’idea che è stata da subito condivisa da tutto il corpo docente e dalle istituzioni carcerarie, rendendo possibile il suo svolgimento in un clima di serenità e gratificazione per gli studenti nei quattro carceri di Rebibbia. Tale idea è sorta in me non appena ho assunto la direzione dell’IISS Von Neumann, ritenendo necessario valorizzare al massimo tale momento di passaggio, conclusivo di un percorso di crescita inserito in un percorso di trattamento dei detenuti, confacente ai migliori standard pedagogici e filosofici, un trattamento che ritengo debba sempre porre al suo centro la persona. Una comunità come quella scolastica cerca di crescere e di sostenersi grazie a continui atti di fiducia da parte di chi ci lavora, ritengo che possa rinnovarsi colato dei nostri Istituti penitenziari rimane lontano nelle sue dinamiche dalla comprensione di chi si trova all’esterno. Avendo modo di insegnare periodicamente filosofia in una Certosa comprendo abbastanza il significato profondo della diversità tra chi vive in reclusione (in questo caso per scelta) e quello di fuori, sullo svilupparsi di una distanza progressiva nel lessico e nello sguardo, il dilatarsi dei tempi e la possibilità di incontrare se stessi a un livello di profondità che fuori non è possibile. Il carcere di Rebibbia è una realtà articolata, una cittadella a sé stante, dietro le alte mura che la cingono comprende in realtà quattro diverse istituzioni carcerarie: il Nuovo complesso è il più grande, con più di mille detenuti di tutte le tipologie, dall’alta sicurezza a coloro i quali hanno compiuti reati comuni. Quindi viene il Carcere femminile che accoglie numerose tipologie di reati, compiuti da fanciulle, madri, persone persino quasi anziane, le storie più diverse di disagio, crimine, lontananza e nostalgia. Quindi proseguendo lungo la via Bartolo Longo si incontra l’ingresso della Casa di reclusione, che accoglie i condannati in via definitiva a pene anche molto lunghe, con reati molto gravi da espiare. Alla fine della via si incontra la Terza Casa, l’Istituzione più innovativa, dedicata alla custodia attenuata di chi ha scelto di partecipare a numerose iniziative formative organizzate dalla direzione. Sin dai primi colloqui che ho avuto con i nostri docenti di Rebibbia mi sono convinto di come anche loro credano fermamente nella necessaria anteriorità dell’ottimismo, nel bisogno di vincere l’isolamento che uccide dentro molti nostri colleghi bruciandone l’entusiasmo e trasformandoli in meri burocrati o funzionari di un apparato. Non dobbiamo lasciare che le circostanze, per quanto drammatiche, spengano la luce che ardeva negli occhi di coloro i quali si sono accostati al mondo della scuola non come a un lavoro qualsiasi, ma come una sorta di laica missione nel mondo della reclusione. La stessa luce negli occhi l’ho vista chiaramente in alcuni detenuti, in particolare (6) AA. VV., «Naufraghi… in cerca di una stella». Un esperimento di pratica filosofica in carcere, a cura di Fernanda Francesca Aversa e di Emilio Baccarini, Universitalia, 2019.
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