LA SCUOLA E L’UOMO - Anno LXXIX- Numero 7-8 - Luglio-Agosto 2022 scritti fintamente dialogici che affannano le menti e distolgono dall’autenticità Questo ritengo essere il compito di una scuola che si vuole sempre comunità di persone, comunità dialogante e per questo educante, comunità che accetta i condizionamenti derivanti da esigenze di giustizia o di sanità ma non si lascia contenere dalla sua condizione di essere popolata di persone limitate temporaneamente nella loro libertà, che si tratti di essere in carcere o semplicemente di dover portare delle mascherine. Proprio nella condizione più estrema dei carcerati si riscopre l’essenza della scuola che certamente è lo scopo della crescita intellettuale e relazionale, nel loro caso specifico è concretezza dell’ideale non di rieducazione ma di reinserimento in società, quindi una socialità permanente che ancora di più può essere apprezzato da chi per aver compiuto gesti a volte efferati e terribili deve starne lontano ed essere messo in condizioni di non nuocere. Qui mi sembra di riscoprire l’essenza primigenia della scuola come trasmissione delle conoscenze su una base esemplarista, nella quale il docente si vede chiamato ad essere con i suoi comportamenti, con il linguaggio verbale e non verbale, veicolo esemplare di conoscenza e di valutazione della realtà, anche la difficile realtà carceraria. Per questo motivo ho voluto fortemente la partecipazione dei detenuti al nostro giornale scolastico. In ognuna delle Scuole che ho diretto ho voluto realizzare un giornale scolastico, in carcere anche questo è stato un evento innovativo, realizzato con l’accortezza di far firmare i detenuti solo con il loro nome, essenziale a mio parere per far giungere la loro voce, semplice, schietta, a volte sorprendente, all’esterno. Ripensare la scuola continuamente è ripensare il dialogo educativo in forme nuove, in presenza o a distanza, nella libertà delle nostre scuole o nella restrizione in carcere, con lo sguardo dritto verso l’incontro e la possibilità di crescere, di migliorarsi, di cambiare stile di vita. Gli sguardi rimandano ai volti, specchio dell’altro e dell’incontro quotidiano in tutta la sua ricchezza emozionale, continua meraviglia dello scoprirsi e dello scoprire insieme nelle diverse declinazioni dell’umanità. con alcuni semplici ma efficacissimi rituali di passaggio come quello della consegna ufficiale con applauso e sincera e sorridente stretta di mano da parte del preside a sancire un lavoro lungo e paziente svolto dai docenti e dagli studenti carcerati spesso in classi che vengono ricavate in celle anche anguste, con poca luce e pochi sussidi per la didattica. La fragilità negli studenti più grandi di età quali gli studenti ristretti in carcere riguarda di più la loro sfera psicologica per la mancanza di confronto, di sguardi e di dialogo che avvertono giunti in un contesto nuovo. Sui nostri studenti pesa probabilmente ancora di più la compressione del lato affettivo, l’assenza dell’incontro quotidiano con il volto dei familiari, delle persone amate, degli amici. In loro forte è l’attesa di essere riconosciuti e chiamati per nome, il nome proprio su cui tanti filosofi si sono interrogati negli ultimi decenni. A questo proposito, al di là dei tanti sforzi organizzativi, continua ad adoperarmi perché tutti gli insegnanti che amano il proprio lavoro possano adottare dei piccoli accorgimenti relazionali per diminuire la sofferenza e la mancanza di conforto che si crea in questa esperienza di permanenza in carcere che si prospetta purtroppo quasi sempre non breve. Durante una pandemia, durante una guerra, ma anche nella normalità siamo chiamati come docenti e dirigenti scolastici a riscoprire la scuola come casa comune, e non c’è casa senza familiarità. La positività dell’essere Scuola si esprime nell’impegno a rendere sempre accoglienti le nostre aule anche e soprattutto in carcere e nel voler continuare a narrare, a descrivere la nostra esperienza di vita scolastica con gioia e curiosità sempre rinnovati, qualunque sia il proprio ruolo, studenti, docenti o presidi. Ripartire dal sorriso e dal volto, un volto che eccede la maschera e l’essere persona che non vuole lasciarsi costringere oltre il necessario ma mostra che la relazionalità essenziale al volto non potrà essere soppressa. Ripartire quindi dallo sguardo e dal dialogo, così fondamentali nel consentire lo scambio di parole e lo scambio preverbale che fornisce quel supporto emotivo a ciò che si vuole significare e che viene perso negli scambi
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