Ricordo di Oscar Luigi Scalfaro

29-01-2012
OSCAR LUIGI SCALFARO NON E’ PIU’
MA HA CELEBRATO CON L’UCIIM
I 150 ANNI DI SCUOLA ITALIANA PER L’UNITA’

Nella foto, da sinistra: Don Carlo Nanni, Rosalba Candela, Oscar Luigi Scalfaro, Giuseppe Desideri, Giovanni Villarossa

Discorso dell’on. Oscar Luigi Scalfaro – Presidente Emerito della Repubblica Italiana – in occasione del Convegno UCIIM I 150 ANNI DI SCUOLA ITALIANA PER L’UNITA’

Anzitutto un ringraziamento per questo invito.
Mi fa molto onore, anche se non ho titoli particolari, trovarmi di fronte alla Associazione Italiana Maestri Cattolici, l’AIMC e all’UCIIM, Unione Cattolica Italiana Insegnanti Medi. Posso dire che ho visto nascere queste Associazioni, ma questo non è titolo di merito. È presente un onorevole collega al quale rivolgo un saluto, vorrei dire “bacio le mani…” avendo più anni di me. È vero che una domenica dello scorso mese in un incontro con amici di secoli addietro, eravamo sei o sette, venne a celebrarci la Messa un sacerdote che stava per compiere 99 anni, venne da solo senza avere bisogno dell’aiuto di nessuno. Quando dopo la lettura del Vangelo si è voltato per fare un commento, l’amico che gli era più vicino gli ha messo a disposizione la sedia, ma il sacerdote non l’ha neanche guardata. Ha iniziato il suo commento, ha parlato senza appoggiarsi per 40 minuti, presentando l’interpretazione antropologica del brano, poi quella teologica, poi ha ripreso ancora … Di fronte a ciò mi sono sentito ragazzo, mi sono meravigliato che i genitori non mi avessero accompagnato e mi avessero lasciato andare così … Si fanno delle scoperte … Molti auguri. È molto bello che voi maestri e professori cattolici celebriate queste manifestazioni insieme.
Fui incaricato dai loro avi di parlare al 1° Congresso Nazionale dei Maestri Cattolici “Salviamo il fanciullo”, quindi qualche precedente preistorico ce l’ho. Ho imparato molto da questa Associazione di Maestri  Cattolici: esperienza, cultura, saggezza. ‘Maestro’, non dite a nessuno: maestro.
E poi mi rivolgo a voi, professori. Ho abbracciato con entusiasmo il prof. Luciano Corradini, perché quando ho avuto delle responsabilità e in qualche modo sono stato un po’ presente, lui era il Presidente, quindi associo immediatamente il prof. Corradini a questa Associazione di professori, di docenti. Ho visto che c’è una talvolta rotonda, dove avete invitato sette ex ministri. Sette è un numero biblico, anche se non sempre positivo. Con grande bontà, con una certa faziosità nei miei confronti, mi avete invitato qui dove c’è scritto “saluto delle autorità”.
Ma, non mi avete messo nell’elenco dei Ministri? (Non lo sappiamo Presidente…)
… Lei lo dice come se avesse trovato anche dei danni, sappiamo che è passato di lì, abbiamo visto le impronte … avrei racconti vari …
Auguri. Per una forma forse di fissazione per l’età, rimango con la mia insistente vocazione alla toga di magistrato. Non c’era nessun magistrato in famiglia, mio padre era un impiegato delle Poste dello Stato, però quando ero studente di ginnasio e di liceo mi era venuta questa idea fissa. Partiva da un pensiero piuttosto marcato che con l’età si è solidificato; pensavo allora alla bellezza di fare il magistrato, cercare la verità per applicare la giustizia. È un compito che dovremmo avere tutti, anche se una volta da Capo dello Stato, mentre ero in visita ufficiale in Messico, i giornalisti che seguivano il viaggio a nome e per conto del loro giornale, vennero a dirmi, come colpa di imputazione: “Perché Lei parla sempre della verità?”. Nella mia lunga esperienza politica ho conosciuto più di una persona di quelle che dicono una cosa sapendola non vera e la dicono come se fosse vera senza fare una piega. Sembra impossibile, mi è capitato più di una volta e, qualche volta, con un certo scandalo di amici più vicini anche politicamente, mi sono sentito un po’ in affanno.
Perché si parla della verità? Perché nel momento in cui una persona dice come vera una cosa che sa non esserlo interrompe il dialogo, taglia la possibilità di dialogo totalmente. Manca la base di partenza. La settimana prossima vedrò un ex collega in Parlamento, che proviene da impostazioni diverse dalle mie, persona di grande capacità di pensiero, di una onestà di comportamento che mi commosse più di una volta e che tempo fa mi ha scritto o meglio mi ha mandato uno scritto, dove parla della verità. Poiché Cristo disse “Ego sum Veritas”, “Io sono la Verità”, devo dire che veramente è uno dei casi, e non sono pochi, per cui penso come un giorno sarà accolto da quello che ha detto “Ego sum Veritas”, uno che non ha il dono della fede, ma che ha una fede nella verità incredibile.
Incredibile. Il punto di partenza, l’essenziale punto di partenza.
La verità è come è. E la verità è dove è. Per chi ha fatto il magistrato – a me è capitato di farlo in tempi burrascosi – fa impressione quando delle persone che si vede che hanno ormai un’abitudine pesante, negativa di non dire mai la verità, a un certo punto escono con un racconto di un fatto, con una parola, con un esempio che è tratto da questa frase, la verità è come è ed è dove è, e nessuno al mondo può cambiarla. Nessuno. Poi uno può presentarla capovolta, girata, turbata, messa a proprio vantaggio, a solo danno del prossimo? Un gran lavoro … serve per essere giudicati, bene o male a seconda dei casi … Ma nessuno torce la verità da come si è manifestata.
La scuola ha prima di tutto questo compito, e io vi auguro di essere portatori di verità. Da una persona che dovrò rivedere quest’oggi e con cui ho scambiato due parole per dire di questo impegno ho sentito degli accenni non ottimisti. Mi ha detto: ma quanti sono i docenti che sentono questo mandato, questo compito, questa vocazione? Quanti sono? Ho risposto: la maggioranza … Non ho questa conoscenza sicura, ma non ho dubbio, perché a volte anche taluni che forse non fanno il proprio dovere in modo perfetto, nel momento delicato, esprimono la vocazione fondamentale. Rimango ottimista. In questi tempi essere ottimisti è un fatto grave, può darsi che sia curabile, ma per uno della mia età non c’è molta speranza.
Scusino se faccio qualche accenno personale: non sarà passato un mese o un mese e mezzo quando un giorno mia figlia mi disse di aver invitato a cena alcune persone, al massimo una decina; l’invito a cena poteva essere un momento in cui le persone possono sfogarsi un po’… quindi e io ho detto: “Guarda ti ringrazio che hai fatto questo, io ci sarò ma non parlerò, ascolto, e questa volta voglio ascoltare”. E così è stato. A un certo punto delle nostre discussioni, mia figlia disse che era pronta la cena, e le discussioni continuarono… Fra i commensali c’era un mio amico che era stato giudice della Corte Costituzionale e aveva un pessimismo veramente glorioso … Dopo cena a un certo momento ho chiesto di parlare … C’è stato un grido generale: finalmente parli … Ed io: “Volevo dirvi che sono ottimista…”. Queste parole caddero come un blocco di ghiaccio in testa … Si fece silenzio e questo collega come se fosse stato schiacciato da un monte di ghiaccio, disse con un filo di voce … “Ci dici almeno come fai?”.
Questo salvò, esplose una risata gloriosa, allora ho ripreso: mi rifaccio a cose semplici. Da quando ero bambino mi hanno detto che nulla di umano, splendido e ottimo o pessimo, dura per sempre, nulla … Una cosa ottima e vissuta anche a lungo finisce; una pessima, finisce, su queste basi sono tranquillo… È importante sapere che certi atteggiamenti non hanno il marchio dell’eterno.
Allora, anzitutto la verità. Poi il servizio. Siamo chiamati a rendere servizio alla comunità della quale facciamo parte o meglio abbiamo l’onore di far parte.
Molte volte dico: non limitatevi a guardare dalla finestra, non state solo a guardare.
Una volta in un’assemblea, dove prevalevano i giovani, ma c’erano anche persone di 40-50-60 anni, mi hanno chiesto: cosa dovremmo fare? Non c’è una risposta perfetta, per carità. Dissi: guardate la scena nazionale, vedete il partito che vi rivolta meno lo stomaco quando lo pensate, che vi urta i nervi di meno …
Pensate a questa ipotesi, entrate dentro non state solo a guardare a questo popolo, a questa umanità, a questa comunità nella quale abbiamo, ripeto, l’onore di essere nati e di far parte. Merita che noi ci lasciamo coinvolgere. È meglio una testimonianza a volte un po’ faticosa, non ancora chiara che non uno che si affaccia con prudenza alla finestra difendendo i propri interessi e le proprie realtà e non si sporge un briciolo. Servire. Soprattutto quando si è inseriti in attività come la vostra, è un gran servizio. È vero che a volte notate le cose nelle quali credete anche voi fino in fondo e avete creduto quando avete scelto questa strada, questi studi. Però, se fate il raffronto con la realtà in cui si vive, vengono tanti pensieri di desolazione. Coraggio.
La verità è servizio e grazie molto di ciò che avete fatto e continuate a fare. Il grazie di un cittadino, di un essere umano come voi che tante volte ha visto, ha conosciuto insegnanti di prima grandezza. Qualcuno mi ha già sentito parlare – credo di averlo citato migliaia di volte come se pagassi un tributo sacrosanto del mio professore di italiano del liceo classico. Mi piace ricordare Luigi Bonollo, un uomo tra i 50 e i 60 anni, di una cultura di primissima grandezza. Nei tre anni di liceo – eravamo pochi, c’era un solo liceo classico, una sola scuola, una sola prima, una seconda, una terza – nessuno di noi è stato interrogato se interrogato vuol dire: venga alla cattedra. Nessuno, mai. Passeggiava, parlava e poi coinvolgeva. In prima liceo si studiava l’inferno dantesco e in terza il paradiso. Su una terzina che non ricordo, però ricordo con esattezza l’episodio tanto mi ha folgorato, lesse la terzina poi con pochissime parole, ma con grande onestà disse: “Questo è il dogma tale”. Poi chiuse il libro e disse: “Se loro gradiscono maggiori spiegazioni le chiedano al professore di religione. Io non so dire altro e me ne vergogno dinnanzi a tutti loro”. Se mi avesse fatto tre anni di teologia non mi avrebbe dato questo fuoco dentro che sento adesso come quel giorno. Questa onestà trasparente, questa verità anche su se stessi.
Allora grazie e auguri.
Verrà giorno che l’Italia sarà più capace di dirvi grazie, verrà quel giorno. Non ho assoluto dubbio. Auguri.