“…e quindi uscimmo a riveder le stelle” 66 partenza di ogni itinerario esistenziale, il desiderio, insito nell’animo umano, e il punto di arrivo, la felicità, data dalla visione dell’Amore che è Dio» ( Candor lucis aeternae, 2). Su entrambi i temi Dante ha molto da dire all’uomo d’oggi, il cui desiderio, mai spento, si trova confuso da una cultura massificante che mina alle radici la singolarità della persona e l’autenticità delle sue relazioni. E lo stesso vale per la purificazione della meta a cui tendere, la verità sulla felicità che ci fa pienamente umani, dove ci si scontra con tendenze che vorrebbero sottrarre all’uomo la sua tensione alla trascendenza, confondendo il bene assoluto con qualche bene parziale e provvisorio, che maggiormente attrae perché apparentemente più vicino, dimenticando che nulla è più intimo a noi stessi di quel Bene assoluto che è Dio. Questa attualità di Dante va riproposta con forza, a cominciare da quel luogo centrale della formazione umana che è la scuola. Ancora con le parole di Papa Francesco: «Dante – proviamo a farci interpreti della sua voce – non ci chiede, oggi, di essere semplicemente letto, commentato, studiato, analizzato. Ci chiede piuttosto di essere ascoltato, di essere in certo qual modo imitato, di farci suoi compagni di viaggio, perché anche oggi egli vuole mostrarci quale sia l’itinerario verso la felicità, la via retta per vivere pienamente la nostra umanità, superando le selve oscure in cui perdiamo l’orientamento e la dignità. Il viaggio di Dante e la sua visione della vita oltre la morte non sono semplicemente oggetto di una narrazione, non costituiscono soltanto un evento personale, seppur eccezionale. Se Dante racconta tutto questo – e lo fa in modo mirabile – usando la lingua del popolo, quella che tutti potevano comprendere, elevandola a lingua universale, è perché ha un messaggio importante da trasmetterci, una parola che vuole toccare il nostro cuore e la nostra mente, destinata a trasformarci e cambiarci già ora, in questa vita…». Il Papa, per indicarci il modo con cui avvicinarci a Dante e alla sua opera, utilizza un linguaggio che è proprio dell’esperienza educativa della scuola: leggere, commentare, studiare, analizzare. Non si entra nella profondità del messaggio dantesco se non attraverso l’utilizzo di queste procedure del sapere che sono ciò che la scuola deve fornire ai ragazzi e di cui fa fare esperienza nell’iter formativo. Di qui un appello alla serietà dei cammini scolastici e alla responsabilità dei docenti. Ma il Papa poi continua spostando l’attenzione dal metodo al contenuto, e fa emergere che esso è un appello a un’esperienza che si traduca in vita buona. Di nuovo è qui interpellata la scuola che non può ridursi a una funzione di trasmissione di saperi e di abilitazioni al saper fare; nella scuola è in gioco la possibilità offerta alle nuove generazioni di poter cogliere il fascino di una vita buona, una vocazione etica, un saper essere. Monsignor Betori ha concluso il suo saluto citando le parole della petizione con cui il popolo fiorentino nel 1373 chiese al Comune di Firenze la prima lettura pubblica della Commedia, affidata a Giovanni Boccaccio. La petizione era così formulata: «Vogliamo essere istruiti sul libro di Dante, dal quale anche chi non ha studiato può essere educato a fuggire i vizi e ad acquistare le virtù». Sottolinea un concetto espresso da Sua Eminenza il dott. Roberto Curtolo dell’Ufficio scolastico regionale della Toscana. Noi siamo ciò che riusciamo a esprimere, ciò che riusciamo a comunicare; siamo anche molto altro, ma se non riusciamo a dare forma a questa comunicazione è evidente che l’imbarbarimento a cui stiamo assistendo quotidianamente in tutte le forme della comunicazione sociale, diventerà sempre più rilevante. Ci troviamo di fronte alla perdita della complessità strutturale della comunicazione ma anche dei contenuti; celebrare Dante, per la scuola, significa voler recuperare il senso della lingua come rappresentazione e costruzione del sé; noi docenti ed educatori siamo il tramite attraverso cui questo modello si svolge e si costruisce. Andare alle radici della lingua italiana e della sua forza poetica, comunicativa ed evocativa diventa un fattore fondamentale nella costruzione del percorso di qualunque giovane. L’uso metaforico di uscire a riveder le stelle in questo momento ben descrive la situazione che stiamo attraversando: un esodo inteso come trasformazione costante e continua, incontro di territori nuovi, di situazioni non note che dobbiamo riconoscere e descrivere e che poi ci dovremo lasciare alle spalle visto che tornare indietro poi non è possibile. Come ha scritto Dante nel primo canto del Purgatorio “…venimmo poi in sul lito
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