EB_...e quindi uscimmo a riveder le stelle

“…e quindi uscimmo a riveder le stelle” 58 e sono l’esistenza del mondo, in cui si riflette la gloria di Dio, l’esistenza personale di Dante che interpreta la sua vita come missione e come dono divino, la morte di Gesù sulla croce, che ha donato la salvezza a lui ed a tutti gli uomini, la speranza, ossia l’attesa certa della vita eterna e della resurrezione finale. Tutti questi motivi hanno spinto Dante ad abbandonare il mare ingannevole dei beni terreni e lo hanno fatto approdare alla riva dell’amore vero, orientato a Dio. Pertanto egli ama ora tutte le creature, prima di tutto il suo prossimo, ma anche tutta la realtà che lo circonda, in proporzione del bene che Dio ha loro concesso. Dio deve essere amato in sé e per sé, le altre creature in Dio e per Dio. “….. Tutti quei morsi che possono far lo core volgere a Dio a la mia caritate son concorsi; ché l’essere del mondo e l’esser mio, la morte ch’El sostenne perch’io viva, e quel che spera ogni fedel com’io, con la predetta conoscenza viva, tratto m’hanno del mar de l’amor torto, e del diritto m’han posto alla riva. Le fronde onde s’infronda tutto l’orto de l’ortolano eterno, am’io cotanto quanto da lui a lor di bene è porto”. (Par. XXVI, 55-66) Dopo questo esame teologico sulla carità tutti i santi intonano un dolcissimo canto di approvazione: è il canto liturgico del Sanctus e Dante riacquista la vista, che aveva momentaneamente smarrito nel fissare il suo esaminatore l’apostolo Giovanni, grazie allo sguardo luminosissimo di Beatrice. La fede, la speranza, la carità sono virtù dell’uomo che è ancora in via, diretto verso il suo fine soprannaturale. La fede e la speranza scompariranno, quando l’uomo giungerà alla beatitudine eterna ed alla chiara visione di Dio. In quel momento resterà solo la carità, un rapporto d’amore che trova nei beati la forma completa e perfetta. Le tre virtù teologali riappaiono nel cammino di Dante simboleggiate da tre facelle (stelle luminose), che brillano in cielo al termine della prima giornata di ascesa nel Purgatorio (Cfr. Purg. VIII, 89); sono indicate dagli stessi colori dell’abito di Beatrice vestita di un candido velo, di un verde mantello, di una tunica color di fiamma viva (Cfr. Purg. XXX, 31-33), e da tre donne che accompagnano in cerchio danzando il carro del grifone, simbolo della Chiesa: l’una rossa più del fuoco (carità), l’altra verde come lo smeraldo (speranza), la terza bianca come la neve (fede). La danza è guidata ora dalla fede, ora dalla carità: ma solo la carità dà il ritmo ora lento, ora veloce (Cfr. Purg. XXIX, 121-129). Le riflessioni sulle virtù teologali, come del resto la rappresentazione poetica della Vergine Maria, del mistero trinitario, l’importanza della libertà umana nel costruire con le sue scelte il proprio destino, possono testimoniare la precisione teologica con cui Dante interpreta la vita cristiana e lo propongono ai credenti, che amano la sua poesia, sia come sommo cantore del deposito della fede, sia come maestro di spiritualità. Il mistero trinitario Dante parla della sua opera come del poema sacro al quale han posto mano cielo e terra. Egli si sente scriba dei. Non v’è realtà che egli non abbia scrutato: la terra, il cielo ed il mare, il cuore dell’uomo, il suo rifiuto di Dio nell’inferno, la faticosa ascesi dell’anima che sul monte della purificazione anela all’infinito, il puro bene che è nel Paradiso, il mistero nascosto di Dio.

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