“…e quindi uscimmo a riveder le stelle” 56 fede si inserisce nella realtà vivente del Cristianesimo che ha improntato di sé tutta la nostra storia. Essa non è disgiunta dalla speranza di purificare la Chiesa. Dante soffre per la Chiesa mondanizzata e vuole che essa torni alla sua santità: lo desidera ed in Paradiso (l’alta corte santa) esplode tra i beati il canto del Te Deum. Dante, invitato da San Pietro fa ora la sua professione di fede, proferendo il suo credo: egli crede in un solo Dio in tre Persone, in Dio che è fonte di moto, di amore, di desiderio. Con bellissimi versi Dante conclude che il mistero trinitario è la sorgente, il principio da cui derivano gli altri articoli della fede, la favilla che si dilata in fiamma poi vivace. La fede è una stella che scintilla nel cielo della nostra anima. “Quest’ è ’l principio, quest’ è la favilla che si dilata in fiamma poi vivace, e come stella in cielo in me scintilla.” (Par. XXIV, 145 – 148) Non siamo soli nella nostra vicenda umana, ma una luce (la stella della fede) ci mostra il cammino e la meta. Pietro, l’apostolico lume, cantando, cinge tre volte Dante, così come all’inizio aveva cinto Beatrice, in un gioioso abbraccio. Tra Pietro e Dante c’è ora una totale sintonia ed una profonda connaturalità: egli si sente un vero figlio della Chiesa. L’esame sulla speranza Dante dedica tutto il canto XXV del Paradiso alla virtù teologale della speranza. Dopo essere stato incoronato poeta della fede da San Pietro, egli si augura di essere incoronato come poeta cristiano anche sulla terra, nel suo bel San Giovanni, dove con il battesimo era entrato nella fede: si sente profondamente poeta cristiano, a cui Dio ha affidato la missione di migliorare il mondo, “in pro del mondo che mal vive” (Purg. XXXII,103), allontanando gli uomini dalle miserie di questa vita per condurli alla felicità del Paradiso. A Dante viene ora incontro San Giacomo. Invitato da Beatrice a far risuonare in cielo il nome della speranza esaminando Dante su di essa, egli incoraggia il poeta a fissare in lui lo sguardo ed a rispondere a queste tre domande: che cosa sia la speranza, se essa infiori la sua mente e da dove gli derivi. Ma Beatrice previene Dante e risponde per lui alla seconda domanda, affermando che nessuno nella chiesa militante, ha una speranza maggiore di quella di Dante, come lo stesso San Giacomo può vedere nella luce di Dio. Proprio per questo motivo a Dante è stata concessa la grazia di venire dalla terra alla Gerusalemme celeste. Di fatto la speranza permea tutta l’opera di Dante, il suo desiderio di un rinnovamento personale, come della Chiesa e della società: egli si sente chiamato a orientare tutta la realtà, tutta la storia, la vicenda di ogni uomo e della società alla luce di Dio. Alle altre domande risponde Dante stesso: afferma che la speranza è l’attesa certa della gloria futura, prodotta dalla grazia divina e dai meriti acquisiti sulla terra. “Speme” dissi io “è un attender certo della gloria futura, il qual produce grazia divina e precedente merto. (Par. XXV, 67-69) La speranza è pertanto collegata anche alla nostra vita quotidiana, perché ti stimola a vivere sotto la luce di Dio e con intensità il momento presente in modo che sia a lui gradito. Risponde poi il poeta alla terza domanda: la speranza è una luce che brilla nel cuore di Dante e che viene a lui da molte “stelle”, ossia da molti passi della Scrittura, come dalla preghiera dei salmi di Davide che esorta coloro che conoscono il nome di Dio, cioè la sua vita ed il suo amore, a sperare in Lui, e dalla stessa lettera di san Giacomo che parla del premio eterno
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