“…e quindi uscimmo a riveder le stelle” 47 davanti a san Pietro, la descrive come una “favilla, / che si dilata in fiamma poi vivace / e come stella in cielo in me scintilla” ( Par. XXIV, 145-147).11 Anche il celebre passo dell’ Epistola a Cangrande menzionato da Benedetto XV in chiusa della propria Enciclica costituisce un filo rosso che si ritroverà nei testi di molti dei successivi Pontefici, iniziando da un vibrante brano della Lettera Apostolica ‘motu proprio’ Altissimi cantus promulgata da Paolo VI il 7 dicembre 1965, a un giorno dalla chiusura del Concilio Vaticano II, durante il quale i Padri conciliari avevano ricevuto in dono una copia della Commedia.12 A differenza del testo dell’Enciclica che abbiamo appena esaminato, quello dell’ Altissimi cantus si sostanzia di numerose citazioni dal poema, mentre nettamente minoritario è il ricorso ad altre opere dantesche (13 citazioni dal Paradiso, 2 dall’ Inferno, 1 dal Purgatorio e 1, rispettivamente, da Convivio e Monarchia).13 In un delicato snodo argomentativo, il Pontefice afferma: «Il fine della Divina Commedia è primariamente pratico e trasformante. Non si propone solo di essere poeticamente bella e moralmente buona, ma in alto grado di cambiare radicalmente l’uomo e di portarlo dal disordine alla saggezza, dal peccato alla sanità, dalla miseria alla felicità, dalla contemplazione terrificante dell’Inferno a quella beatificante del Paradiso».14 Proprio sulla scorta dell’Epistola a Cangrande, dunque, Paolo VI insiste tanto sulla compiutezza tecnica dell’opera dantesca («poeticamente bella») quanto sulla sua valenza morale («moralmente buona»), così che gli è possibile riconoscerla, anche in questo caso attraverso un esplicito riferimento alla luce, come un itinerarium mentis in Deum: Per tutto ciò la Divina Commedia si presenta come un itinerarium mentis in Deum, dalle tenebre della inesorabile riprovazione, alle lacrime della espiazione purificatrice, e, di gradino in gradino, da chiarezza in chiarezza, da fiammante a più fiammante amore, sino alla Fonte della luce, dell’amore, della dolcezza eterna: «Luce intellettüal, piena d’amore; / amor di vero ben, pien di letizia; / letizia che trascende ogni dolzore».15 Nella lettura di Paolo VI la Commedia inoltre ci si manifesta come un poema «universale», in grado di far convivere terra e cielo, ragione e fede, profano e sacro, umano e divino:16 «poema sacro / al quale ha posto mano e cielo e terra», la definisce del resto lo stesso Dante in Par. XXV 1-2. Sul piano dei contenuti, infatti, Dante si mostra in grado di tenere insieme, in una costruzione poderosa e salda, l’antichità classica e il Medioevo, «i misteri di Dio e le vicende degli uomini, la dottrina sacra e le discipline profane, la scienza attinta dalla Rivelazione divina e quella attinta dal lume della ragione, i dati dell’esperienza personale e le memorie della storia»,17 mentre su quello delle forme il poeta, riconosciuto «padre della lingua italiana»,18 si mostra in grado di attingere a tutti i generi letterari, «l’epico, il lirico, il didascalico, il drammatico, e di quest’ultimo sia quello di carattere, sia quello d’azione, in una inesauribile molteplicità di combinazioni».19 Sul piano spirituale, inoltre, il Pontefice ribadisce la fermezza di Dante nella fede e il suo rapporto filiale con la Chiesa, rapporto che si esprime anche attraverso le sue aspre 11 FRANCESCO, “Lumen fidei”. Lettera Enciclica ai Vescovi, ai Presbiteri e ai Diaconi, alle persone consacrate e a tutti i fedeli laici sulla Fede, 29 giugno 2013, stralcio, in «… non fa scïenza, sanza lo ritenere, avere inteso», pp. 6768, a p. 67. 12 PAOLO VI, “Altissimi cantus”, p. 22, §17. 13 Anche in questo caso, mi baso sulle fonti indicate nella già citata edizione di riferimento. Nel presentare la Lettera Apostolica “Altissimi cantus” faccio anche in parte riferimento a quanto ho segnalato in «Sulle tracce del frontespizio», a. VI, fasc. 16 (aprile 2020), pp. 9-11. 14 PAOLO VI, “Altissimi cantus”, p. 22, §17. 15 Ivi, p. 23, §18, con citaz. di Par. XXX, 40-42. 16 Ivi, p. 22, §16. 17 Ibidem. 18 Ivi, p. 18, §2. 19 Ivi, p. 29, §47.
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