EB_...e quindi uscimmo a riveder le stelle

“…e quindi uscimmo a riveder le stelle” 46 Somme Chiavi»;5 subito prima di questo passo, del resto, il Pontefice aveva affermato esplicitamente: «chi potrebbe negare che in quel tempo vi fossero delle cose da rimproverare al clero, per cui un animo così devoto alla Chiesa, come quello di Dante, ne doveva essere assai disgustato, quando sappiamo che anche uomini insigni per santità allora le riprovarono severamente?»6 Nella lettura di Benedetto XV la devozione alla Chiesa si traduce per Dante in una viva esperienza di fede che gli consente di deversare nel capolavoro della Commedia, accanto agli «splendori dell’arte», anche la «multiforme luce delle verità rivelate da Dio».7 Non sarà forse un caso allora che il motivo della luce, che come sappiamo permea in una climax la progressiva ascesa di Dante in Paradiso di cielo in cielo ( e converso l’assenza di luce è tratto marcatamente infernale) torni anche in una citazione implicita del poema ( Par. I 1-3) inserita nell’Enciclica, laddove si afferma che «l’universo, qualunque sia l’ordine che lo sostiene nelle sue parti, è opera del cenno creatore e conservatore di Dio onnipotente, il quale tutto muove, e la cui gloria risplende in una parte più, e meno altrove».8 Luce, dunque, come verità rivelata, e anche come grazia, meta ultima del destino terreno di ogni uomo rappresentato nel poema dantesco, che, secondo il memorabile passo dell’epistola a Cangrande della Scala citato in traduzione in chiusura dell’Enciclica, «non ebbe altro scopo che “sollevare i mortali dallo stato di miseria”, cioè del peccato, e “di condurli allo stato di beatitudine”, cioè della grazia divina».9 Sul tema della luce tornerà per altro anche Papa Benedetto XVI nel Discorso ai partecipanti all’incontro promosso dal Pontificio Consiglio “Cor unum” del 23 gennaio 2006, in un passo di particolare densità esegetica che credo sia importante rileggere per intiero, anche per la sua puntuale messa a fuoco della meravigliosa immagine dantesca della Trinità: L’escursione cosmica, in cui Dante nella sua Divina Commedia vuole coinvolgere il lettore, finisce davanti alla Luce perenne che è Dio stesso, davanti a quella Luce che al contempo è «l’amor che move il sole e l’altre stelle» ( Par. XXXIII, 145). Luce e amore sono una sola cosa. Sono la primordiale potenza creatrice che muove l’universo. […] Non soltanto […] la Luce eterna si presenta in tre cerchi ai quali egli si rivolge con quei densi versi che conosciamo: «O luce etterna che sola in te sidi, / sola t’intendi, e da te intelletta / e intendente te ami e arridi!» ( Par. XXXIII, 124-126). In realtà, ancora più sconvolgente di questa rivelazione di Dio come cerchio trinitario di conoscenza e amore è la percezione di un volto umano – il volto di Gesù Cristo – che a Dante appare nel cerchio centrale della Luce. […] questo Dio ha un volto umano.10 Lumen fidei , inoltre, è come sappiamo il titolo della prima Enciclica (29 giugno 2013) di Papa Francesco, entro la quale si rinviene, a sua volta, un altro importante riferimento alla Commedia: «È urgente perciò recuperare il carattere di luce proprio della fede, perché quando la sua fiamma si spegne anche tutte le altre luci finiscono per perdere il loro vigore. La luce della fede possiede, infatti, un carattere singolare, essendo capace di illuminare tutta l’esistenza dell’uomo. […] Comprendiamo allora che la fede non abita nel buio; che essa è una luce per le nostre tenebre. Dante, nella Divina Commedia, dopo aver confessato la sua fede 5 Ivi, pp. 10-11; per il riscontro delle citazioni mi baso sulle fonti segnalate nell’edizione. 6 Ivi, p. 10; subito prima, tuttavia, si afferma: «[…] si deve pur compatire un uomo, tanto sbattuto dalla fortuna, se con animo esulcerato irruppe talvolta in invettive che passavano il segno». 7 Ivi, p. 7. 8 Ivi, p. 8. 9 Ivi, p. 13. 10 BENEDETTO XVI, Discorso ai partecipanti all’incontro promosso dal Pontificio Consiglio “Cor unum”, 23 gennaio 2006, in «… non fa scïenza, sanza lo ritenere, avere inteso», pp. 61-62, a p. 61.

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