“…e quindi uscimmo a riveder le stelle” 44 E dopo la preghiera così ardente ed affettuosa di Bernardo in favore di Dante ritorna un immagine di straordinaria bellezza: Maria è tutta nei suoi occhi, diletti e venerati da Dio, oggetto di amore e di venerazione da parte del Figlio, costantemente fissi per tutta l’orazione sul suo fedele e devoto Bernardo, per poi essere sollevati, con un gesto semplice ma pieno di materna intercessione nell’eterna luce di Dio: non c’è altra creatura che possa, come Maria, penetrare con tanta chiarezza e potenza di intercessione nel mistero e nell’infinito amore di Dio. “Li occhi da Dio diletti e venerati, fissi ne l’orator, ne dimostraro quanto i devoti prieghi le son grati; indi a l’etterno lume s’addrizzaro, nel qual non si dee creder che s’invii per creatura l’occhio tanto chiaro”. (Paradiso XXXIII, 40-45) Per intercessione di Maria il desiderio di Dante si infiamma fino all’estremo limite e la sua vista risale per il raggio divino tanto da entrare nella profondità della luce eterna fino al mistero dell’unità di Dio, dell’unica essenza divina che riunisce in un tutto armonico le cose create, tutto “ciò che per l’universo si squaderna” (Paradiso XXIII, 87). Poi, continuando a guardare, nella profonda e chiara essenza di Dio Dante vede tre cerchi di colore diverso ma di un’unica superficie. Il secondo è il riflesso del primo, il terzo è un fuoco che spira dall’uno e dall’altro. È il sublime mistero della Trinità divina di Dio che sussiste in se stesso, si conosce come Padre che genera il Figlio ed è da lui conosciuto nell’unità e nell’amore dello Spirito. Sono le tre relazioni divine sussistenti nell’unica, identica natura: l’assoluta paternità, l’assoluto essere figlio, l’infinito amore che unisce. Poi Dante fissa più a lungo il secondo cerchio, quello riflesso dal primo, e gli appare raffigurato al suo interno, con lo stesso colore della natura divina, dall’immagine di un uomo. E si concentra tutto in essa, nella persona del Cristo risorto, nel figlio di Maria. Dante non lo dice espressamente, ma fa comprendere che l’incarnazione del Verbo è il mistero più grande della nostra fede: sente il brivido emotivo della sua intelligenza che cerca di capire come l’immagine di un uomo, Cristo, si adatti al cerchio divino e come possa trovare posto in esso. Ma la sua ragione, nonostante tutto il suo sforzo, non è adeguata a comprendere: solo una folgorazione, un lampo di luce divina realizza il suo desiderio di vedere Dio. Egli si sente ora pienamente appagato e guidato nella sua brama di conoscenza e nella sua volontà, inserito armonicamente nel movimento divino, come una ruota che si muove in moto circolare uniforme, mosso da “l’amor che muove il sole e l’altre stelle”. La Divina Commedia ha il suo punto di partenza con la presenza di Maria che nel Paradiso “si compiange”, ossia prova dolore, versa lacrime ed intercede presso Dio per liberare Dante – ma in lui è rappresentata tutta l’umanità – dall’impedimento della selva oscura del peccato (cfr. Inferno II, 94-96). Si conclude ancora con l’intercessione di Maria che alza i suoi occhi diletti e venerati dal Figlio nell’eterna luce divina perché Dante possa penetrare nei misteri più profondi della nostra fede, possa realizzare, folgorato nella mente, la sua aspirazione e la sua volontà di incontrare e di amare Cristo, il figlio di Dio fatto uomo nel grembo di Maria, “fine di tutti i disii” (Paradiso XXXIII, 46), fine ultimo di tutti i desideri umani.
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