“…e quindi uscimmo a riveder le stelle” 19 sì che, se stella bona o miglior cosa m’ ha dato ’l ben, ch’io stessi nol m’invidi.“ (Inferno XXXVI, 19-24) Qui il poeta, consapevole del suo ingegno che viene dalle doti naturali e da Dio, brama di conoscere Ulisse, il più grande consigliere di frodi secondo la tradizione classica, ma anche l’uomo dell’intelligenza inquieta e dell’ardire umano. Egli volle esplorare tutta la realtà e tentare senza la luce della grazia di rompere i divieti cercando una via di salvezza: con una sola nave e con pochi compagni, navigando nell’oceano verso sinistra, guidato dalla notte. Dante ne ammira la magnanimità, ma sottolinea anche il fallimento della sua ricerca, e l’impossibile approdo alla montagna del Purgatorio senza la grazia. Noi ci allegrammo, e tosto tornò in pianto; ché de la nova terra un turbo nacque e percosse del legno il primo canto. Tre volte il fé girar con tutte l’acque; a la quarta levar la poppa in suso e la prora ire in giù, com’altrui piacque, infin che ’l mar fu sovra noi richiuso". (Inferno XXVI, 136-141) Sarà Dante il nuovo Ulisse cristiano, quando si cingerà del giunco dell’umiltà, sulla spiaggia del Purgatorio. Una donna del cielo lo ha guidato e sostenuto. Qui Dante si autocita riprendendo le stesse rime del naufragio di Ulisse ( nacque – acque – piacque; acque – piacque – rinacque). “Venimmo poi in sul lito diserto, che mai non vide navicar sue acque omo, che di tornar sia poscia esperto. Quivi mi cinse sì com’altrui piacque: oh maraviglia! ché qual elli scelse l’umile pianta, cotal si rinacque subitamente là onde l’avelse”. (Purgatorio I, 130-137) Un ultimo personaggio costringe per così dire Dante al silenzio ed alla riflessione. Tra i traditori della patria il poeta incontra il Conte Ugolino e l’arcivescovo Ruggeri in una scena di bestiale crudeltà. Dante riflette sull’odio e sulla brama di potere che causano tradimenti e crimini che coinvolgono anche degli innocenti, qui i figli di Ugolino, che muoiono di fame davanti agli occhi del padre, impotente ad aiutarli. Tace Dio davanti a questa disumana sofferenza, tace anche Dante, impietrito da tanto dolore, senza lacrime come lo stesso Ugolino, che tuttavia apostrofa il poeta: “e se non piangi, di che piangere suoli?” (Inferno XXXIII, 42), tace anche la terra. “Ahi dura terra, perché non t’apristi! ” (Inferno XXXIII, 66). Solo al termine del racconto Dante, invocando una punizione divina, esplode in una invettiva apocalittica e terribile contro Pisa, che ha lasciato soffrire e morire degli innocenti. Non c’è purtroppo una risposta ed una parola umana per la sofferenza innocente dei piccoli. Dietro ad essa vi è anche il dolore atroce di Dante, che ha dovuto nella prima fase del suo
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