“…e quindi uscimmo a riveder le stelle” 15 Deh, ballatetta, a la tu’ amistate (compiacenza) quest’anima che trema raccomando: menala teco, nella sua pietate, a quella bella donna a cu’ ti mando. Deh, ballatetta, dille sospirando, quando le se’ presente: «Questa vostra servente vien per istar con voi, partita da colui che fu servo d’Amore». Tu, voce sbigottita e deboletta ch’esci piangendo de lo cor dolente, coll’anima e con questa ballatetta va’ ragionando della strutta mente. Voi troverete una donna piacente, di sì dolce intelletto che vi sarà diletto starle davanti ognora. Anim’, e tu l’adora sempre, nel su’ valore”. (Cavalcanti Rime XXXII) La presenza di Maria nell’Inferno Tutto il viaggio di Dante dalla selva del peccato, in cui il poeta si è smarrito, fino alla visione del mistero di Dio uno nella sostanza e trino nelle persone e del volto di Cristo ha per così dire un filo nascosto, un’aurea catena che compatta la vicenda umana e cristiana: è l’intercessione della Vergine Maria che suscita la misericordia di Dio e salva Dante dalla perdizione e lo porta alla salvezza. Egli prende coscienza della sua situazione di peccatore. Comprende ben presto che non può far conto sulle sue forze per salire il dilettoso monte della vita divina, perché tre fiere gli sbarrano la strada: la lonza simbolo della lussuria, il leone simbolo della superbia, la lupa simbolo dell’avidità dei beni terreni. Egli rovina nuovamente in basso, quando gli appare Virgilio. Egli spiega a Dante che una catena di mani soccorritrici giunge a lui dal mistero inaccessibile di Dio. È la Vergine Maria che prova dolore per la situazione di Dante e spezza il duro giudizio di condanna: in realtà essa è anche simbolo della misericordia divina, della grazia preveniente che salva; Maria chiama Lucia, la martire siracusana che Dante ha in grande venerazione, simbolo della grazia illuminante, Lucia convoca Beatrice, creatura celeste ed insieme umana, calda d’affetti per il suo amico smarrito, simbolo della grazia attuale; Beatrice chiama a sua volta Virgilio, il poeta classico più amato da Dante, simbolo della ragione umana, in cerca di salvezza: personaggio forte sì, ma anche lui debole e turbato in molte circostanze per l’opposizione delle forze del male. Dante dice di aver trovato del bene nella selva oscura: “per trattar del ben ch’i vi trovai” (Inferno I, 8). Qual è questo bene? Certamente il prendere coscienza della sua lontananza da Dio, il pentimento, la consapevolezza che l’uomo non può salvarsi con le sue sole forze, la necessità della grazia: tutto questo fa rifiorire la sua vita ed il suo passato. Egli riscopre l’importanza dei suoi studi e della sua cultura classica (Virgilio), riprende l’ideale giovanile dell’amore per una donna che dà gioia e salvezza ed eleva a Dio (Beatrice). Virgilio spiega a Dante che egli deve compiere altro viaggio nell’Inferno, nel Purgatorio e nel Paradiso, prendere coscienza di tutta la realtà umana, capire la libertà dell’uomo e come egli con le sue scelte terrene costruisca il suo destino eterno. I due poeti finiscono per condividere questa certezza: il viaggio nell’aldilà è voluto da Dio per intercessione di Maria,
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