EB_...e quindi uscimmo a riveder le stelle

“…e quindi uscimmo a riveder le stelle” 14 saetta che già mai la colga ignuda: ed ella ancide, e non val ch’om si chiuda né si dilunghi da’ colpi mortali che, com’avesser ali, giungono altrui e spezzan ciascun’arme… S’io avessi le belle trecce prese, che fatte son per me scudiscio e ferza, pigliandole anzi terza, con esse passerei vespero e squille: e non sarei pietoso né cortese…” (Dante Rime CIII) Ma Dante ha attraversato anche una crisi filosofica: l’amicizia con Guido Cavalcanti lo ha portato ad un desiderio di evasione, di fuga dalla realtà, rappresentata da questo vascello magico ove egli con gli amici poeti, ognuno con le proprie donne, desiderano ragionare sempre d’amore: "Guido, i’ vorrei che tu e Lapo ed io fossimo presi per incantamento e messi in un vasel, ch’ad ogni vento per mare andasse al voler vostro e mio; sì che fortuna od altro tempo rio non ci potesse dare impedimento, anzi, vivendo sempre in un talento, di stare insieme crescesse ’l disio. E monna Vanna e monna Lagia poi con quella ch’è sul numer de le trenta con noi ponesse il buono incantatore (il mago Merlino): e quivi ragionar sempre d’amore, e ciascuna di lor fosse contenta, sì come i’ credo che saremmo noi”. (Dante Rime LII) e lo ha avvicinato al pensiero di Averroè e ad una visione materialistica della vita. Se c’è un’eternità per l’amico Guido Cavalcanti essa appartiene solo alla poesia che porta l’anima distrutta dalla morte alla donna amata per adorarne la bellezza e rimanere sempre con lei: “Tu senti, ballatetta, che la morte mi stringe sì, che vita m’abbandona; e senti come ’l cor si sbatte forte per quel che ciascun spirito ragiona. Tanto è distrutta già la mia persona, ch’i’ non posso soffrire: se tu mi vuoi servire, mena l’anima teco (molto di ciò ti preco) quando uscirà del core.

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