EB_...e quindi uscimmo a riveder le stelle

“…e quindi uscimmo a riveder le stelle” 13 Dalla selva del peccato alla visione di Cristo La presenza di Maria nella Divina Commedia P. Giuseppe Oddone Introduzione La poesia italiana è profondamente affascinata dalla figura della Vergine Maria. Fin dalle origini della nostra letteratura lungo il corso dei secoli tanti poeti hanno levato la loro voce, attratti dalla bellezza umana e spirituale di questa donna, capolavoro di Dio, ed hanno espresso in immagini e ritmi la loro ammirazione, il loro amore, la loro preghiera. Così hanno fatto – citando solo i più importanti - nel Duecento gli anonimi cantori di laudi e Jacopone da Todi, nel Trecento Dante, Petrarca e Boccaccio, nel Rinascimento il Poliziano, Lorenzo il Magnifico e Torquato Tasso, nell’Ottocento il Manzoni ed il Carducci, nel Novecento il Pascoli, e diversi poeti ermetici quali Ungaretti e Montale ed altri poeti contemporanei. Ma nessun poeta ha sentito il fascino di Maria con tanta forza e convinzione come Dante, nutrito da una profonda devozione quotidiana verso di Lei, “il nome del bel fior ch’io sempre invoco - e mane e sera” (Paradiso XXIII, 88-89), tanto che la Vergine è diventata un elemento vitale della sua creazione poetica, e noi possiamo leggere tutto il suo capolavoro, la Divina Commedia, come una celebrazione, sotterranea e nascosta nell’Inferno, solare e luminosa nel Purgatorio e nel Paradiso, della Donna del cielo. Lo smarrimento di Dante nella selva oscura Dante è entrato, praticamente senza rendersene conto, nella selva oscura del peccato, in una situazione di lontananza da Dio, in una forma di accecamento spirituale. Probabilmente allude alla crisi morale e filosofica che egli ha affrontato nella sua giovinezza tra il 1290, anno della morte di Beatrice, e l’anno giubilare del 1300. Il poeta infatti attraversò un periodo di sbandamento interiore, conquistato dalla teoria dell’amore cortese e dalle passioni della carne, se dobbiamo prendere sul serio alcune allusioni della Vita nova dopo la morte di Beatrice e della stessa Divina Commedia (cfr. Purgatorio XXXI, 57-60), che lo gettano in un turbine di amori facili e libertini, confermati per altro da alcune poesie delle Rime come le liriche per Fioretta o Violetta: “Per una ghirlandetta ch’io vidi, mi farà sospirare ogni fiore”. (Dante Rime LVI) “Deh, Violetta, che in ombra d’Amore negli occhi miei sì subito apparisti, aggi pietà del cor che tu feristi, che spera in te e disiando more”. (Dante Rime LVIII) e per Donna Petra: “Così nel mio parlar voglio esser aspro com’è ne li atti questa bella petra, la quale ognora impetra (acquista) maggior durezza e più natura cruda, e veste sua persona d’un diaspro (corazza adamantina) tal, che per lui, o perch’ella s’arretra, non esce di faretra

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