EB_...e quindi uscimmo a riveder le stelle

“…e quindi uscimmo a riveder le stelle” 4 Saluto del card. Giuseppe Betori, Arcivescovo di Firenze Mi rallegro con l’UCIIMToscana e con l’UCIIMnazionale per aver voluto offrire un incontro di riflessione su Dante Alighieri e l’attualità della sua opera. Il mio saluto si affida alle parole di Papa Francesco nella lettera apostolica Candor lucis aeternae: «Dante, riflettendo profondamente sulla sua personale situazione di esilio, di incertezza radicale, di fragilità, di mobilità continua, la trasforma, sublimandola, in un paradigma della condizione umana, la quale si presenta come un cammino, interiore prima che esteriore, che mai si arresta finché non giunge alla meta. Ci imbattiamo, così, in due temi fondamentali di tutta l’opera dantesca: il punto di partenza di ogni itinerario esistenziale, il desiderio, insito nell’animo umano, e il punto di arrivo, la felicità, data dalla visione dell’Amore che è Dio» ( Candor lucis aeternae, 2). Su ambedue questi orizzonti Dante ha molto da dire all’uomo d’oggi, il cui desiderio non è mai spento ma troppe volte si trova confuso da una cultura massificante che mina alle radici la singolarità della persona e l’autenticità delle sue relazioni. E lo stesso vale per la purificazione della meta a cui tendere, la verità sulla felicità che ci fa pienamente umani, dove ci si scontra con le tendenze che vorrebbero sottrarre all’uomo la sua tensione alla trascendenza, confondendo il bene assoluto con qualche bene parziale e provvisorio, che maggiormente attrae perché apparentemente più vicino, dimenticando che nulla è più intimo a noi stessi se non quel Bene assoluto che è Dio. Questa attualità di Dante va riproposta con forza, a cominciare da quel luogo centrale della formazione umana che è la scuola. Torno ad affidarmi alle parole di Papa Francesco: «Dante – proviamo a farci interpreti della sua voce – non ci chiede, oggi, di essere semplicemente letto, commentato, studiato, analizzato. Ci chiede piuttosto di essere ascoltato, di essere in certo qual modo imitato, di farci suoi compagni di viaggio, perché anche oggi egli vuole mostrarci quale sia l’itinerario verso la felicità, la via retta per vivere pienamente la nostra umanità, superando le selve oscure in cui perdiamo l’orientamento e la dignità. Il viaggio di Dante e la sua visione della vita oltre la morte non sono semplicemente oggetto di una narrazione, non costituiscono soltanto un evento personale, seppur eccezionale. Se Dante racconta tutto questo – e lo fa in modo mirabile – usando la lingua del popolo, quella che tutti potevano comprendere, elevandola a lingua universale, è perché ha un messaggio importante da trasmetterci, una parola che vuole toccare il nostro cuore e la nostra mente, destinata a trasformarci e cambiarci già ora, in questa vita. Il suo è un messaggio che può e deve renderci pienamente consapevoli di ciò che siamo e di ciò che viviamo giorno per giorno nella tensione interiore e continua verso la felicità, verso la pienezza dell’esistenza, verso la patria ultima dove saremo in piena comunione con Dio, Amore infinito ed eterno» ( Candor lucis aeternae, 9). Il Papa, per indicarci il modo con cui avvicinarci a Dante e alla sua opera, utilizza un linguaggio che è proprio dell’esperienza educativa della scuola: “leggere, commentare, studiare, analizzare”. Non si entra nella profondità del messaggio dantesco se non attraverso l’utilizzo di queste procedure del sapere che sono ciò che la scuola deve fornire ai ragazzi e ai giovani e di cui fa fare esperienza nell’iter formativo. Di qui un appello alla serietà dei cammini scolastici e alla responsabilità dei docenti. Ma il Papa poi continua spostando l’attenzione dal metodo al contenuto, e fa emergere che esso è un appello a un’esperienza che si traduca in vita buona. Di nuovo è qui interpellata la scuola che non può ridursi a una funzione di trasmissione di saperi e di abilitazioni al saper fare, in una prospettiva funzionale al mercato del lavoro. Ciò che è in gioco nella scuola è la possibilità offerta alle nuove generazioni di poter cogliere il fascino di una vita buona, una vocazione etica, un saper essere. E qui, per concludere, faccio mie le parole della petizione rivolta al Comune con cui il popolo fiorentino nel 1373 chiese la prima lettura pubblica della Commedia, affidata a Giovanni Boccaccio: «essere istruiti sul libro di Dante, dal quale anche chi non ha studiato può essere educato a fuggire i vizi e ad acquistare le virtù».

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