Settembre-Ottobre-2014
LA SCUOLA E L’UOMO - Anno LXXI - Numero 9-10 - Settembre-Ottobre 2014 16 Infine è diffusa l’opinione che la perso- nalizzazione sia una prassi pedagogica che riguarda soprattutto le fasi iniziali della vita scolastica e cioè la scuola dell’infanzia e quella primaria e che perciò quando si entra nella scuola secondaria non sia più possibile – e anzi sia decisamente controproducente – praticare i sentieri della personalizzazione. Infine vorrei precisare che quando si parla di personalizzazione non si fanno sconti agli allievi né in termini di quantità né sotto il profilo della qualità delle nozioni apprese: semplicemente si prevedono itinerari diver- si in vista di un obiettivo individuato come utile e necessario. nulla di più lontano, anche in questo ca- so, dal permissivismo buonista che spesso considera secondaria la consistenza di quan- to si è appreso a favore di una buona espe- rienza emotiva e/o socializzatrice. 2. Alle origini della personalizzazione Prima di entrare nell’esame più critico della nozione di cui ci stiamo occupando è opportuno fornire alcune coordinate relati- ve al contesto culturale, pedagogico e poli- tico scolastico nel quale l’espressione «per- sonalizzazione» ha fatto la sua comparsa. Ciò è avvenuto, almeno in Italia, in tempi relativamente recenti (poco meno di una quindicina di anni, importante è stata la traduzione del volume curato da ocse-Ceri, Personalizzare l’insegnamento , Bologna, Il mulino, 2008) in seguito alla spinta di alcuni studiosi impegnati a verificare in che misura è possibile immaginare una scuola meno uniforme e più attenta a valorizzare le qua- lità di ciascuno. In verità già prima del nuovo secolo due autori, ciascuno espressione di tradizioni educative molto diverse, si erano cimentati con la personalizzazione, introducendo que- sta formula nel linguaggio pedagogico. fred s. Keller mise a punto tra gli anni ’50 e ’60 un fortunato progetto didattico (denominato Personalized System of In- struction e illustrato in un saggio del 1968) impostato sui fabbisogni formativi degli stu- denti e sul riconoscimento dei ritmi indivi- duali di apprendimento. al lavoro personale scandito da moduli di apprendimento erano affiancate attività in gruppo basate sul sup- porto fra pari, con la supervisione di un fa- cilitatore a disposizione degli studenti. lo studioso statunitense rielabora e riaggiorna pratiche didattiche ispirate alla pedagogia deweyana, già ben note agli studiosi del- l’attivismo pedagogico con qualche influen- za rogersiana nell’impiego del docente-facilitatore. Quasi negli stessi anni, nel 1970, il pedagogista spagnolo Victor garcia-Hoz anticipava, a sua volta, nel volume Edu- cación personalizada, temi poi ampiamente trattati in opere successive. ai limiti delle prassi individualizzanti e di quelle curricolari giudi- cate entrambe, anche per motivi opposti, viziate da un approccio funzionalistico (e cioè condizionate dal propo- sito prevalente di migliorare la resa scolastica) lo studioso iberico prospettava la via della personalizzazione. Questo approccio educativo, a giudizio del garcia-Hoz, doveva operare ad ampio rag- gio e non solo nell’ambito dell’apprendi- mento, valorizzando le potenzialità non so- lo cognitive della persona in formazione, ma anche le dimensioni affettiva, etica e religiosa della persona. l’esito complessivo la dott.ssa lucrezia stellacci
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