Luglio-Agosto-2013
5 LA SCUOLA E L’UOMO - Anno LXX - Numero 7-8 - Luglio-Agosto 2013 le disabilità, e, più di recente, ai problemi posti dalla società multietnica. E si dilata co- me prospettiva specifica dell’Europa sociale, tesa a promuovere l’integrazione, la coesione sociale, la partecipazione e la buona qualità della vita di tutti, in particolare delle perso- ne che si trovano in vario modo e per diversi motivi ai margini della società. Dal punto di vista politico, l’inclusione sociale consiste nell’insieme delle politiche e degli strumenti che hanno l’obiettivo di favorire una migliore e piena integrazione della persona nel contesto sociale ed eco- nomico nel quale si svolge la sua esistenza. Il Consiglio europeo di Lisbona del marzo 2000 ha poi definito l’inclusione sociale co- me uno degli obiettivi primari della strategia per la crescita e la competitività europea sul piano mondiale. La «strategia di Lisbona» ha trovato un momento focale con la celebra- zione dell’Anno Europeo della lotta alla po- vertà e all’esclusione sociale nel 2010. Come ha scritto J. Habermas (1) inclusio- ne non vuol dire assimilazione del diverso, né chiusura contro il diverso, ma piuttosto che i confini della comunità siano aperti a tutti. La mèta delle politiche per l’inclusione dovrebbe essere che tutti gli individui, gruppi e categorie sociali che condividono uno stesso contesto abitativo, socialmente e legalmente organizzato, godano degli standard essenziali di qualità della vita, co- sì come essa è civilmente e storicamente prospettata, vivano le relazioni sociali nell’accettazione e nel rispetto della dispa- rità tra persone, categorie e gruppi che compongono la società, siano tutti chiamati (e legittimati) a partecipare attivamente ad un tale processo di inclusione, in un oriz- zonte di equità e di solidarietà. Il permanere dell’esclusione nella ricerca di una cittadinanza inclusiva È vero che molte delle politiche sociali per l’inclusione in Europa non sempre hanno conseguito lo scopo e in molti casi si sono rivelate inefficaci. Sono ancora molti i gruppi socialmente esclusi, per numerosi motivi: perché porta- tori di handicap, perché privi di competen- ze specializzate, perché provenienti da paesi extraeuropei o appartenenti a gruppi nazionali che non godono di buona fama so- ciale, perché vivono in zone sfavorite con accesso limitato ai servizi, perché hanno problemi di salute, perché non accettati dai gruppi e dalle persone delle comunità di re- sidenza. In effetti l’idea e la pratica della cittadinanza, oltre ad avere difficoltà e rigi- dità legislative, è pensata e vissuta con una certa intrinseca ambivalenza. La diversità tra cittadini «normali» e individui o gruppi o categorie di «abitanti differenti» (disabili, donne, immigranti, rom, svantaggiati, emarginati, e gli stessi giovani), sembra quasi consacrare il fatto che i diritti di tutti non siano di egual peso nella dinamica par- tecipativa sociale: talora, in nome del- l’uguaglianza non si attuano strategie diffe- renziate e composite come occorrerebbe. Sicché viene a risultare che la cittadinanza può rischiare di diventare un fattore in più di esclusione sociale. Per tanti giovani la prospettiva della «giovinezza allungata» diventa un tempo di sofferenza e di esclusione neanche troppo mascherata. Due prospettive: una economicistica, una umanistica Si può aggiungere, a mo’ di conclusione provvisoria, che è il concetto stesso di in- clusione ad essere carico di ambivalenze e di incertezze. In termini generali si può di- re che vi sono due fondamentali prospetti- ve: una economicistica, per la quale l’esclusione è un dato di fatto inevitabile. La riduzione dell’esclusione e la promozio- ne dell’inclusione appaiono più una otti- mizzazione della funzionalità economico- produttiva che la volontà politica di una buona qualità della vita delle persone e della società. L’approccio umanista, inve- ce, considera l’esclusione come un male e S p i r i t u a l i t à (1) H ABERMAS J., L’ inclusione dell’altro , Feltrinelli, Milano, 2008
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