Luglio-Agosto-2013
LA SCUOLA E L’UOMO - Anno LXX - Numero 7-8- Luglio-Agosto 2013 14 presa, trovammo diversi interlocutori, tutti personaggi di spicco della cultura e della politica di allora. Quando Nosengo finì il suo intervento, noi, chiaramente, lo applaudim- mo. Nel contesto dell’uditorio, eravamo l’unico gruppo di ragazzi e, quindi, battem- mo le mani con un certo vigore! Questo ap- plauso venne molto apprezzato, tant’è che lo stesso Nosengo, ancora in piedi a seguito della sua comunicazione, dovette dare spie- gazioni all’auditorio: «...Ci sono anche i miei allievi che si preparano alla maturità liceale!». Uno o due giorni dopo, venendo a lezione da noi, riprese il discorso dicendoci allegramente: «Se voi mi applaudite così, gli altri penseranno che vi ho retribuito!». Il Prof. Nosengo aveva questa straordina- ria capacità di relazionarsi con i giovani. Se mi si passa il termine sapeva «impattare», non cedendo nulla e non compiacendo nes- suno. Ricordo un episodio con un collega della nostra classe. Un ragazzo assai scher- zoso che alle volte, però, eccedeva in bana- lità. Un giorno, in piena lezione, Nosengo lo riprese dicendogli: «Tu, ridi così sempre?». Lo studente un po’ risentito gli rispose: «Ma lei professore non ride mai?». «Io rido, ri- spose Nosengo, ma intelligentemente, il tuo sorriso invece è fatuo!». Pur sapendo stare tra i giovani, quindi, non accettava l’ecces- so di sciocchezze e se doveva imporsi non era null’affatto esitante. Il Prof. Nosengo, nella relazione con noi alunni, appariva assai differente dal resto del corpo docente. Egli si offriva ai suoi stu- denti, diversamente dai colleghi. Si capiva, infatti, che la sua era stata un scelta ben precisa: una risposta ad una chiara vocazio- ne. Gli altri insegnanti, all’opposto, ahimè si comprendeva anche questo, andavano lì per fare la gavetta o perché avevano vinto un concorso. Per diversi dei nostri docenti l’insegnamento era un «mestiere»; per No- sengo, invece, si trattava di una scelta esi- stenziale. Le sue lezioni al «Cavour» si distingue- vano qualitativamente anche per il meto- do di insegnamento. Egli non portava avanti un programma predefinito a priori. Le questioni da trattare emergevano dal- l’incontro stesso con il gruppo classe. Non amava, quindi, fare la lezione cattedratica e optava per lunghi colloqui e dialoghi. Questi andavano a toccare i problemi fon- damentali della vita, suscitando l’interes- se degli studenti che potevano interveni- re. Una tale possibilità era una positiva anomalia. L’alunno liceale, alla fine anni ’40, era indotto dalla stessa organizzazio- ne scolastica a «salvare il voto». Pur se qualche studente individuava un docente di una certa levatura non aveva alcuna possibilità di interagire; anzi quest’ultimo, al pari degli altri, andava temuto perché si usava molta ristrettezza nei voti: pres- soché impossibile andare oltre il sette! La didattica italiana di allora non prevedeva, al di là dell’esposizione dei contenuti dell’istruzione, altre comunicazioni. Il do- cente non scendeva mai dalla cattedra per incontrare gli alunni. Si andava alle inter- rogazioni con la speranza di fare una bella figura e acquisire un buon voto e tutto fi- niva lì. Non c’era nient’altro: non ricordo alcun colloquio. L’ambiente era quasi mili- taresco e il clima punitivo. Nosengo apriva un altro tipo di dialogo, completamente diverso, grazie al quale an- che gli studenti che stavano più in disparte erano accolti ed incentivati. Ricordo due esempi a questo proposito riguardanti due compagni di classe: Alessio Pucciano e Ro- mano Calò. Il primo era un aderente della FAI (Fede- razione Anarchica Italiana). All’epoca non erano molti gli anarchici, ma quei pochi erano puri e duri! Alessio, un po’ più grande di noi perché aveva ripetuto un anno, era, al di là dei rendimenti scolastici, un ragazzo
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