Luglio-Agosto-2013

LA SCUOLA E L’UOMO - Anno LXX - Numero 7-8 - Luglio-Agosto 2013 8 ECONOMIA EUROPEA: LE RADICI STORICHE DELLA CRISI. I FATTI TACIUTI E QUELLI INVENTATI Federico Matteoda, Collaboratore dell'UCIIM in corsi di economia rivolti a docenti e studenti D a quando, nell’estate del 2011, la cri- si del debito pubblico di alcuni Paesi europei si è aggiunta al quadro della crisi finanziaria ed economica mondiale ini- ziata nel 2008 (1), né i politici (di qualsiasi tendenza, e in nessun Paese) né i media di ogni tipo, hanno mai esplicitato le radici storiche di ciò che sta accadendo, le quali spiegano perché oggi, per i governi di questi Paesi, sia così difficile fare le riforme che sarebbero necessarie per riavviare la cresci- ta economica e ridurre la disoccupazione. Cercherò di mostrare, in questo ed in un successivo articolo, come i discorsi che cir- colano sui media siano incompleti, a volte fondati su false assunzioni, finalizzati a de- molire un avversario politico oppure a susci- tare speranze infondate (e quasi sempre i due scopi vanno insieme) . Nel lettore tutta- via sorge inevitabilmente un dubbio : com’è possibile che tra politici e media non ci sia almeno uno che racconti in modo completo come stanno veramente le cose? Il motivo è semplice : ne uscirebbe il quadro qui di se- guito delineato, quadro drammatico perché le riforme necessarie per cambiarlo sono, in questo momento, politicamente irrealizza- bili nei Paesi in crisi, per i motivi esaminati nei punti 1 e 2 . 1- Crescita parallela della ricchezza pro- dotta e del tenore di vita delle popolazioni . A partire dai primi decenni dell’Ottocento, nei Paesi in cui si è sviluppato il capitalismo industriale, le lotte dei lavoratori (organizza- ti nei sindacati di ogni colore politico) per migliorare le intollerabili condizioni di vita (orari estenuanti, salari di pura sopravviven- za, assenza di sussidi ai malati, agli inabili e agli anziani) hanno ottenuto una serie inin- terrotta di successi, specialmente dopo la concessione del diritto di voto universale (2) . I successi sono stati resi possibili sia da ragio- ni politiche (evitare la ribellione violenta contro lo sfruttamento) sia dall’interesse economico della classe imprenditoriale nel suo complesso : la crescente importanza dell’industria leggera, produttrice soprattut- to di beni di consumo, esigeva infatti l’au- mento del potere d’acquisto dei lavoratori e il miglioramento delle loro condizioni di vita, in modo da consentire il godimento dei beni divenuti accessibili (3) . Il costante migliora- mento dei salari, degli orari, delle condizioni di lavoro e delle prestazioni dello Stato so- ciale è continuato, nei Paesi occidentali (4), fino agli anni ’70 del secolo scorso, inizio della globalizzazione dell’economia . 2- Il silenzio della politica sulle conse- guenze della globalizzazione per i Paesi ric- chi, e il ricorso al debito pubblico . La globa- lizzazione (5), cioè la possibilità di spostare le imprese produttrici di merci e di servizi nei Paesi del Terzo mondo caratterizzati da salari e da pressione fiscale molto bassi, fin dall’inizio ha reso evidente che il peggiora- mento del tenore di vita nei Paesi occiden- tali sarebbe stato inevitabile, a causa del trasferimento all’estero di molte imprese e del conseguente aumento della disoccupa- zione . Se in questi Paesi, tutti democratici, (1) Le cause e le conseguenze della crisi mondiale sono esposte nei numeri 3-4 del 2009 e 9-10 del 2011. (2) Concesso inizialmente ai soli cittadini di sesso maschile. (3) Approfondimenti sul sito www.uciimtorino.it (4) Ricordo che per «Occidente», nel discorso economico, si intendono i Paesi nei quali si è inizialmente sviluppato il capitalismo industriale: Canada, Stati Uniti, Europa occidentale, Giappone, Australia e Nuova Zelanda. (5) Vedi sito www.uciimtorino.it capitolo I, par. 1, 2, 3.

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