La Scuola e l'Uomo - n. 6 - Giugno 2020

LA SCUOLA E L’UOMO - Anno LXXVII - Numero 6 - Giugno 2020 7 dalla sua arcaica configurazione» (P. Costa, Cittadinanza , Laterza, Roma-Bari, 2005, p. 12). Essa costituiva una vera e propria ca- tegoria giuridica che racchiudeva i membri (possidenti) delle antiche dinastie gentilizie. La cittadinanza, dunque, era espressione di un dato giuridico, di origine naturale, nel quale si realizzava la condizione primaria del cittadino romano di far parte della comunità politica (membro di una genetes ). La condi- zione di cittadino, ossia di gentilis di natura e quiris di diritto, aveva lo scopo precipuo di differenziare giuridicamente le prerogative dell’uomo romano da quelle del servo e dello schiavo (vedi anche il saggio di C. Nicolet, Il cittadino, il politico , in A. Giardina (a cu- ra di), L’uomo romano , Laterza Roma-Bari, 1989, pp. 3 ss.). La costruzione della politeia greca e la successiva elaborazione romana della ci- vitas hanno fornito gli strumenti teorici sulla base dei quali si formerà il moderno concetto di cittadinanza, che sarà in prin- cipio declinato all’interno delle strutture giuridiche degli ordini politici ottocenteschi. Con il declino dei grandi imperi e il sorge- re di una ragione politica nazionale fondata sull’idea di Stato, essa diventerà il punto di confine sia per la lotta per i diritti (si pensi all’eguaglianza, ai diritti sociali) ma anche, con lo Stato totalitario, una forza identitaria capace di annullare i diritti. Nel rapporto con la statualità mo- allo spazio politico entro il quale manifesta la sua personalità, ossia quei diritti e do- veri che discendono dall’ordine politico di appartenenza. L’ordine politico nel quale rappresentare l’appartenenza dell’individuo è variegato, infatti, se guardiamo al discorso storico (e storiografico), la formula giuridica della cit- tadinanza sembra assumere profili diversi in base al luogo e al tempo nel quale prende forma la prerogativa «civica» dell’individuo. «La cittadinanza ha conosciuto diverse for- me storiche, impossibili da ridurre le une alle altre. Ci si deve però domandare quel- lo che viene trasmesso sotto questo nome e attraverso le sue «traduzioni» successive. Dall’una all’altra corre sempre un’analogia, che riguarda il rapporto antinomico che la cittadinanza intrattiene con la democrazia in quanto dinamica di trasformazione del poli- tico » (E. Balibar, Cittadinanza , Boringhieri, Torino, 2012, p. 12). Queste considerazioni di carattere gene- rale assumono un valore storico se proietta- te nelle vicende culturali e nel processo evo- lutivo della civiltà, dalle prime forme di ap- partenenza della cultura greca e romana alle definizioni di carattere nazionale che segui- rono i frammenti ideologici della Rivoluzione del 1789. La formazione delle prime città ha com- portato un ripensamento della «comunità politica» (vedi Aristotele, Politica , Laterza, Roma-Bari, 2000) e del ruolo del singolo co- me elemento costitutivo del politico – è po- litico tutto ciò che viene discusso dai mem- bri della comunità per il bene pubblico. Il nucleo del concetto di cittadinanza, secon- do Aristotele, deriva proprio dalla funzione politica (Aristotele, Politica , p. 73) e dalla partecipazione ai tribunali e alle magistra- ture (Aristotele, Politica , p. 63) dell’indivi- duo all’intero della città. Nella civitas roma- na, invece, si forma una certa dimensione territoriale della cittadinanza, uno status giuridico quale prerogativa dell’attività po- litica, quasi un rovesciamento dell’idea di appartenenza. Nell’ordinamento giuridico romano, la cittadinanza, «non era stata una copia conforme della pólis greca: la civitas romana aveva compiuto una sua originale traiettoria allontanandosi progressivamente

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