Maggio-Giugno 2017
LA SCUOLA E L’UOMO - Anno LXXIV - Numero 5-6 - Maggio-Giugno 2017 24 ragione se sistematico, scrive la Arendt, esi- ge sempre «un fermati-e-pensa» (8). Ed ec- co perché Zenone riferì che, alla sua do- manda su ciò che dovesse fare per perveni- re alla vita migliore di tutte, l’oracolo delfi- co gli avesse risposto «assumi il colore dei morti» (9), ovvero non solo riduci a nulla i tuoi affaccendamenti empirici perché devi «pensare», ma cogli nell’esperienza monda- na che si muove quanto, appunto, non si muove, sta fermo, resta uguale a se stesso nel tempo e nello spazio, cioè l’universale, il concettuale, ciò che, per forza di cose, non può che essere non-mondano, meta - empirico. Nella stessa direzione, Socrate, nei mo- menti in cui «conosceva epistemicamente», era noto per «immergersi» a tal punto «nei suoi pensieri», da isolarsi da ogni compa- gnia lo seguisse e da restare piantato sul posto in cui gli capitava di trovarsi mentre camminava, «sordo a ogni invito» di conti- nuare qualsiasi cosa egli stesse facendo in precedenza (10). Analogamente, Platone, proprio per que- sto, paragonò l’amore del conoscere certo e affidabile, la filo -sofia che insegnava, vi- vendola con i suoi allievi nella scuola che aveva fondato, l’Accademia, alla morte, al- l’arresto assoluto di ogni divenire di sé e delle cose nel mondo, proprio perché lo tra- scendeva nella permanenza fissa, senza tempo e spazio, dell’idea metafisica (11). E Aristotele non trovò analogie migliori per qualificare lo stesso atteggiamento del suo maestro e che anch’egli praticava, sem- pre con gli allievi, nel suo Liceo, che richia- mare, da un lato, lo stare in quiete rapiti (l’ otium latino) (12) e, dall’altro lato, l’in- terminabile attimo immobile che segnereb- be l’inizio della rotta di un esercito, quan- do, in una battaglia, «se un soldato si fer- ma, se ne ferma anche un altro e poi un al- tro ancora» fino all’ultimo (13). Questi «momenti fermi» nei quali l’intel- letto «vede» (la theoria è un «vedere con gli occhi della mente») nel divenire del- l’esperienza l’ episteme greca, o, il che è lo stesso, la « scientia » latina, sono talmente importanti, per l’uomo, che noi saremmo operosi per nessun altro motivo che per raggiungere «questo tipo di scholé/otium » (14). Come scriverà Cicerone, infatti, per un essere davvero umano, per ciascuno di noi, insomma, l’autentico « vivere est cogi- tare » (15). Il thaumàzein della domanda e l’ otium/scholé della scoperta della risposta vera, dunque, non come «un tempo residua- le rispetto a ciò che veramente è importan- te», ma «la parte più importante dell’esi- stenza umana», perché è in questo tempo dell’ otium che «ciascuno afferma le proprie caratteristiche individuali, esplicita il senso (8) H. A RENDT , La vita della mente (1978), tr. it. di G. Z ANETTI , Il Mulino, Bologna 1987 , pp. 161-162. (9) D IOGENE L AERZIO , Vite dei filosofi , VII, 1,2 (tr. it., Laterza, Bari 1975, p. 243). (10) P LATONE , Simposio 174-175. (11) P LATONE , Fedone 64a. (12) A RISTOTELE , Phys. VII, 3, 247b, 11-12 («la ragione conosce e pensa con l’essere in quiete e l’arrestarsi»). È per questo motivo che Aristotele, detto anche il Paripatetico perché amava discutere con gli allievi passeggian- do, è da Dante visto « sedere tra filosofica famiglia» ( Inf . IV, v. 132). (13) A RISTOTELE , Analitici Posteriori B19, 100a, 6-9. (14) A RISTOTELE , Etica a Nicomaco IV, 7 e X,7; Politica VIII, 1337b, 1338a, 1339a; Protrettico 11. (15) C ICERONE , Tusculanae disputationes , V, XXXVIII.
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