Maggio-Giugno 2017
rivare solo dalla conoscenza della realtà, per non cadere in nuove e raffinate forme di schiavitù, favorite, in particolare, da si- stemi di intelligenza applicata, definita ar- tificiale. L’uomo non è solo misura di tutte le cose ma valore delle stesse perché, in as- senza (l’ignoranza è forma efficacissima di assenza) sarebbe travolto dagli eventi, dal caso, dal destino, dalla sorte e sarebbe vit- tima, non protagonista. Sul versante opposto, ma con identici ef- fetti, ci può essere una scuola che s’ingegna a conoscere tutto del discente tranne di co- me possa conoscere la realtà che lo circon- da. Il gioco stimoli-risposte può generare solo passività, meccanicità, adattamento scarsamente consapevole. Va chiarito se la formazione individuale venga prima o dopo quella sociale. Si nasce da altri, si cresce e convive con altri, ci si re- laziona con molti e diversi, si condivide, ci si confronta, ci si distingue e, soprattutto, si possono utilizzare consuetudini, convinzioni, religioni per contrastare, combattere, ucci- dere invece che far convivere. Persone for- mate, consapevoli e responsabili possono confrontarsi e, avvicinandosi, imparare a convivere con altre, nonostante le mille di- versità che natura, cultura e pregiudizi por- tano con sé. Una società bene integrata è co- stituita da identità bene formate perché l’au- toritarismo, la tirannia, la prepotenza non generano cittadini ma schiavi. Non c’è tra- smissione di conoscenza che non implichi an- che la trasmissione contemporanea del suo valore, che determina consapevolezza e re- sponsabilità; altrimenti avremo sempre i ka- mikaze . Sono venute meno la disciplina e la di- gnità dell’impegno; ognuno s’ingegna come può, come se tutto dipendesse dal caso e, soprattutto nel lavoro, troppe persone sono convinte che il vero regista sia la furbizia del sottrarsi piuttosto che la costanza nel darsi per sé e per gli altri. Rischiamo di condividere le convinzioni del tutto e subito dei migranti che, osser- vando le nostre agiatezze, non riescono a rendersi conto che sono frutto di vite intere di lavoro e sacrificio. Sottrarre, rubare, oc- cupare le case altrui, deridere la fedeltà coniugale, uccidere chi cerca di realizzare una libera scelta è diventato l’ordinario, su cui si appiattisce ogni tentativo di riscatto. E, quasi per paradosso, chi dice di essere esperto in educazione, pensa che tutto pos- sa essere insegnato e appreso dagli studenti senza tener conto di ciò che si vive in fami- glia, di ciò che si assimila nel gruppo socia- le, dell’anarchia dei costumi dei giovani. Tra i fondamenti esistenziali dei vecchi sa- murai c’erano la conoscenza, l’esperienza, la disciplina, la costanza che a molti nostri giovani sembrano parole sconosciute o me- ritevoli di derisione. La formazione va oltre l’istruzione perché è il luogo del senso, del significato, del valo- re e, per conseguirla, è necessario puntare sulla persona intera, dal corpo allo spirito. Quando il giovane supera il confine del- l’individualità deve sapersi aprire ad una so- cialità partecipe e inclusiva, comprendendo che ogni valore è definito dal rapporto tra sé e l’altro. Ci sono purtroppo maestri che indu- cono la paura dell’altro; s’impara ad aver paura di se stessi e dei propri vicini e si vive la propria vita sempre in difesa, con un cate- naccio che impedisce alla diversità di entra- re. Sono piante che hanno radici ma paura di aprirsi nell’aria del futuro; crescono senza rami, sempre attente a proteggersi; amano la provvisorietà della convivenza, del legame che può essere sciolto, degli impegni sotto condizione ed è triste che i primi insegnanti di tutto ciò siano proprio i genitori. Poi ci so- no i maestri e i professori: se sono maturi, portano le loro delusioni e disillusioni, se so- no giovani spesso condividono con i loro allie- vi incertezze e provvisorietà. «Tanto, per quello che mi danno!». È necessario tornare all’educazione della volontà e, siccome questa è figlia del biso- gno, riportare gli insegnanti al bisogno della dignità, su cui impostare il proprio ruolo, perché in una società civile nessuna funzio- ne è alta e costosa quanto quella di formare le giovani generazioni. Chi paga di suo, sarà ricordato; chi fa a sopravvivere, sarà temu- to o blandito, mai stimato. Solo chi si è for- mato può aiutare la formazione dei giovani, altrimenti cammineranno l’uno a fianco all’altro senza sicurezza. Formare significa dar forma al blocco di creta perché diventi opera ammirabile. 21 LA SCUOLA E L’UOMO - Anno LXXIV - Numero 5-6 - Maggio-Giugno 2017
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