marzo-aprile 2018

LA SCUOLA E L’UOMO - Anno LXXV - Numero 3-4 - Marzo-Aprile 2018 12 mare delle risorse di personale in un reale miglioramento della didattica bisogna inter- venire direttamente sul modo di fare scuo- la, sviluppare un progetto ambizioso per modificare la didattica in aula, in modo da poter usare con flessibilità competenze an- che disparate. E qui si viene a una seconda insidia na- scosta nella sperimentazione. Questa preve- de che in quattro anni gli studenti realizzi- no gli stessi obbiettivi di apprendimento previsti dagli ordinamenti, senza perdere in qualità. L’idea è giusta e coerente, sulla carta, con i principi sottesi alle Indicazioni nazionali e alle Linee guida per i licei e gli istituti tecnici. Questi documenti, infatti, ormai da diversi anni, hanno sostituito i vecchi «programmi» e sono fondati sul prin- cipio che il percorso formativo deve portare all’acquisizione di competenze, definite ne- gli obbiettivi di apprendimento. Non impor- ta quindi la «quantità» di nozioni o cono- scenze assimilate nel corso degli anni. In questo senso la minore durata del corso di studi non è un ostacolo alla realizzazione degli obbiettivi di apprendimento. Tuttavia, questo vale solo sulla carta, sul terreno dei principi. Nella realtà, due cose impediscono spesso una reale didattica per competenze: in primo luogo, il fatto che i do- cumenti citati, e soprattutto le Indicazioni nazionali dei licei, sono ancora talmente pie- ni di «elenchi di contenuti» da insegnare, che sembra difficile sottrarsi all’obbligo di «farli tutti»; in secondo luogo, soprattutto nei li- cei, la pratica quotidiana dei docenti è anco- ra ampiamente vincolata ai «programmi»: l’avere o non avere fatto il programma, l’es- sere o meno in ritardo con il programma sem- bra essere l’unico parametro oggettivo di va- lutazione del lavoro dei docenti. Questo ge- nera una grande pressione sul tempo scuola: il tempo non basta mai, per «fare il program- ma» e «avere voti», e quindi i docenti vivono nella sensazione che sia impossibile ridurlo ulteriormente. Questi due ostacoli sono i più pesanti: se la pratica quotidiana dei docenti resta così pesantemente ancorata ai «programmi» (inesistenti ma vivissimi, in modo del tutto paradossale), la riduzione delle superiori a quattro anni diventa impossibile, perché nella pratica sarà difficile trovare le solu- zioni per raggiungere gli stessi obbiettivi di apprendimento in meno tempo. A meno di intendere le sezioni che seguiranno questa sperimentazione come sezioni «di eccellen- za», in cui si concentrano gli studenti con i risultati migliori e i docenti più innovativi. Sarebbe una pessima cosa: le superiori di quattro anni non devono essere solo per i migliori (quelli che sono già tali prima di iniziare, quindi i più avvantaggiati social- mente), né i docenti più innovativi devono concentrarsi in questa sperimentazione, sottraendo risorse alle sezioni «ordinarie», condannata a restare nelle costrizioni scola- stiche quotidiane. In sintesi: il problema fondamentale del- la scuola secondaria di secondo grado è la trasformazione radicale della didattica. La rigidità dei programmi lineari «da svolge- re», dei «contenuti da assimilare», continua a pesare come un macigno, abbinata alla «ricerca dei voti». Qualsiasi sperimentazio- ne deve avere il fine primo di promuovere l’innovazione su questo terreno: favorire un lavoro più progettuale da parte degli stu- denti, e una acquisizione di competenze con una pratica di studio che non si riduca alla ripetizione di contenuti. Se la speri- mentazione dei quattro anni serve a questo, è benvenuta. Se però divide in due le scuo- le, escludendo la diffusione di queste prati- che anche nelle sezioni ordinarie, allora sa- rà molto più difficile, dopo, generalizzare il modello. Se addirittura diventa un percorso per «eccellenze» la partita è persa. Resta comunque che tutto il mondo della scuola dovrebbe cogliere questa occasione per di- scutere di nuovo della riforma strutturale di cui abbiamo veramente bisogno, cioè il rior- dino dei cicli scolastici.

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