marzo-aprile 2018
ra del percorso formativo. E si ritorna quin- di alla riforma dei cicli. Ci possono essere altre due motivazioni, legate direttamente all’età. La prima è l’autonomia personale. Far uscire gli stu- denti un anno prima significa renderli re- sponsabili del proprio percorso formativo e professionale in coincidenza con la maggio- re età, senza tenerli ancora un anno nel si- stema protettivo e costrittivo insieme della nostra scuola. La seconda è economica: uscire a diciotto anni significa favorire un inserimento più rapido nel mondo del lavo- ro, sia in termini di scelte formative (uni- versità o formazione tecnica superiore), sia in termini di scelte professionali (colloca- zione nel mercato del lavoro). Queste due motivazioni sono più forti. Promuovere l’autonomia personale è forse l’obbiettivo più ambizioso di tutto il percor- so formativo. Tuttavia, diventa così impor- tante, in rapporto alla fine del secondo ci- clo, perché il nostro sistema scolastico la- scia ancora troppo poco spazio all’autono- mia individuale: non c’è una reale opziona- lità dei curricola, gli studenti raramente de- vono promuovere dei propri progetti, e l’aspetto disciplinare prevale. Per questo abbiamo il paradosso di ragazzi dicianno- venni che vengono ancora trattati come de- gli undicenni, e non vedono l’ora di uscire dalla scuola. L’uscita anticipata è giustifica- ta, certo, in questo senso, ma non deve es- sere un modo per evitare di cambiare un si- stema rigido ormai indifendibile. La seconda ragione può venire incontro a esigenze pratiche degli studenti e delle fa- miglie, e dell’economia in generale. Viene spesso mossa l’obiezione per cui, in periodo di scarsa domanda di lavoro e di alta disoc- cupazione giovanile, serve a ben poco inse- rire nuovi giovani nel mercato. Questa obie- zione è del tutto infondata. Gli scarsi livelli di occupazione giovanile dipendono anche dalla carenza di competenze adeguate al mercato del lavoro: questo non vuol dire che bisogna quindi tenere i ragazzi più a lungo a scuola, ma che bisogna favorire la formazione terziaria. Una uscita a 18 anni può quindi, contrariamente a quanto affer- ma questa obiezione, favorire scelte più precoci nei percorsi professionalizzanti, sia- no essi universitari, tecnici superiori o di apprendistato, che possono ridurre lo squili- brio tra domanda e offerta di lavoro. C’è però un’obiezione più generale a questa motivazione: decidere la struttura del sistema formativo solo per ragioni eco- nomiche è unilaterale. Le finalità generali della scuola sono varie (il pieno sviluppo della persona, la formazione del cittadino, la formazione delle competenze professio- nali), e devono restare tali. Dare peso a una sola di queste a scapito delle altre significa dare alla scuola una prospettiva squilibrata, in questo caso in termini «economicistici». Nonostante queste obiezioni, le due moti- vazioni restano importanti, soprattutto la pri- ma; unite all’esigenza di rilanciare il dibatti- to sulla riforma dei cicli, abbiamo tre ragioni valide per tentare la sperimentazione. C’è infine un’altra motivazione, sottesa ai progetti discussi dalle commissioni Berta- gna e Profumo. La riduzione del percorso scolastico a parità di risorse permetterebbe di migliorare la qualità della didattica con un potenziamento dei docenti utilizzati nel- le classi. Lo stesso numero di docenti su un numero minore di classi significa aprire la possibilità a compresenze, attività di recu- pero e sostegno ecc. Questa è la ragione più importante, allo stato attuale delle cose, per sostenere questa sperimentazione. Tut- tavia, nasconde diverse insidie. La scuola italiana ha dei meccanismi molto rigidi di assegnazione dei docenti alle scuole e alle classi, quindi si rischia di fare un buco nell’acqua se non si favorisce una maggiore flessibilità e non si promuove una cultura dell’autonomia. La vicenda recente dei docenti «di potenziamento» creati dalla Buona scuola lo mostra chiaramente: in molte scuole questi docenti, che non coinci- devano con le classi di concorso ordinamen- tali degli indirizzi a cui erano stati assegna- ti, si sono trovati senza cattedra, e sono stati utilizzati per supplenze, progetti ex- tracurricolari, attività organizzative ecc. Una pratica più radicata dell’autonomia di- dattica avrebbe permesso di assegnarli alle cattedre, con attività di potenziamento reale della didattica, cioè compresenze, re- cupero, approfondimento ecc. Per trasfor- 11 LA SCUOLA E L’UOMO - Anno LXXV - Numero 3-4 - Marzo-Aprile 2018
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