marzo-aprile 2018
DIPLOMA IN QUATTRO ANNI: PERCHÉ HA SENSO PROVARE Mauro Piras, Docente di Storia e Filosofia - Liceo «Gioberti» - Torino L a riforma dei cicli di istruzione è la grande occasione mancata della scuo- la italiana. Molti problemi della no- stra scuola, oggi, si concentrano nel seg- mento tra gli 11 e i 16 anni. Già i numeri lo mostrano. Se le bocciature sono quasi insignificanti nella primaria (0,2% degli iscritti), nella secondaria di primo grado salgono al 3% circa: sempre poco, ma si tratta di un salto notevole (Miur, Ufficio di Statistica, Esiti dell’esame di Stato e degli scrutini nella scuola secondaria di I grado. Anno scolastico 2015-16 , Giugno 2017). Nel primo biennio della secondaria di se- condo grado, le cose peggiorano notevol- mente: 14% di bocciati al primo anno, 8,3% al secondo (Miur, Ufficio di Statistica, Esito degli scrutini del secondo ciclo di istruzione. Anno scolastico 2015-16 ). Ep- pure questo quadro, dato per scontato, non lo è affatto se si pensa che l’obbligo di istruzione è a 16 anni, e che quindi il percorso formativo in questo segmento do- vrebbe avere una certa omogeneità. Se poi si prendono in considerazione i dati della dispersione, la cosa, come è noto, diventa ancora più allarmante: nel 2013- 2014 la differenza tra gli iscritti al terzo anno e gli iscritti al primo anno del 2011- 12 era del 14,8%; questo calcolo mostra, molto più dei dati ufficiali sulla dispersio- ne, quanto questa incida soprattutto nel primo biennio delle superiori (Tuttoscuola, Dispersione nella scuola superiore statale , giugno 2014). Se si guarda dietro ai dati, si vedono i problemi didattici reali. I ragazzi, a undici anni, passano all’improvviso da un sistema centrato sui saperi fondamentali, con una didattica prevalentemente non frontale, e un tempo scuola esteso, a un sistema fram- mentato in numerose discipline, in cui spes- so la didattica è frontale, in ogni caso strut- turata secondo lo schema rigido spiegazio- ne-verifica, con un tempo scuola più breve, e un maggiore impegno di studio a casa. Questo salto avviene in pochi mesi, nel pas- saggio dalla quinta elementare alla prima media. E le difficoltà si acuiscono con l’in- gresso nelle scuole superiori, differenziate in indirizzi molto distanti tra loro, in cui si perde di vista l’acquisizione delle compe- tenze fondamentali che ogni studente do- vrebbe avere alla fine dell’obbligo. Inoltre, in modo del tutto incoerente, si fa finire l’obbligo nel bel mezzo di un percorso for- mativo, invece che alla fine. La Legge 30/2000 del ministro Berlinguer aveva tentato di riformare la struttura dei cicli scolastici, allungando il ciclo primario fino a 13 anni, prevedendo un periodo di orientamento tra il primo e il secondo ciclo, che durava dai 13 ai 18 anni; nel progetto iniziale si prevedeva anche una maggiore unitarietà del biennio iniziale del secondo ciclo. In questo modo il passaggio sarebbe avvenuto più gradualmente, e le competen- ze fondamentali sarebbero state acquisite in un periodo unitario tra infanzia e preado- lescenza. Il contesto politico dell’epoca ha fatto fallire quel progetto. Gli interventi sulla scuola che si sono succeduti negli anni non hanno mai avuto il coraggio di ripren- derlo. Si sono limitati a toccare aspetti del sistema scolastico che non affrontano il no- do principale. Così ora abbiamo vent’anni di ritardo, se non più, di fronte alla sfida della scolarizzazione di massa. La revisione dei cicli scolastici è riappar- sa in seguito sotto un’altra veste: l’accor- ciamento del percorso formativo, con l’uscita a 18 anni invece che a 19. Sotto il ministero Moratti la Commissione Bertagna (2001) aveva proposto una riduzione delle scuole superiori a quattro anni. Ma anche questo progetto fu abbandonato, e la «ri- 9 LA SCUOLA E L’UOMO - Anno LXXV - Numero 3-4 - Marzo-Aprile 2018
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