La Scuola e l'Uomo - n. 11-12- Novembre-Dicembre 2020

Lo Scaf fale LA SCUOLA E L’UOMO - Anno LXXVII - Numero 11-12 - Novembre-Dicembre 2020 42 Dal lo Scaf fale al lo Schermo vicina una tavola ricoperta da una bianca tovaglia sulla quale erano sistemati piatti deliziosi, decorati graziosamente. Un’oca arrosto le strizzò l’occhio e su- bito si diresse verso di lei. La bambina le tese le mani… ma la visione scomparve quando si spense il fiammifero ». Corto n.3. La gioia dei gio- cattoli. « Appena acceso, s’im- maginò di essere vicina ad un albero di Natale. Era ancora più bello di quello che aveva visto l’anno prima nella vetrina di un negozio. Mille candeline brillavano sui suoi rami, illumi- nando giocattoli meravigliosi. Volle afferrarli… il fiammifero si spense… ». Il calore dello stare insieme, il nutrimento intellettuale, la voglia di evadere: non serve a questo il cinema? Chi ha voglia di rimanere an- cora in sala, aggiunga la visione del corto n. 4. A proiettarlo è sempre la bam- bina, ma soggetto e sceneggia- tura sono della nonna e il faro di luce arriva dal cielo sotto forma di stella cadente. Tutto inizia con un flashback, una vo- ce fuori campo (« Quando cade una stella, c’è un’anima che sa- le in cielo ») e un’apparizione. Fantasia e realtà si uniscono in un effetto speciale di rara bel- lezza: la sovraimpressione di un abbraccio tra nonna e nipotina che spiccano il volo per andare « là dove non fa freddo e non si soffre la fame ». Come è possibile che questo avvenga? Miracolo! I passanti che al mattino scoprono il cor- picino senza vita della bambina – scrive Andersen – danno una versione prosaica perché « nes- suno di loro era degno di cono- scere un simile segreto ». Ovviamente, nessuno di loro era mai stato al cinema! (Italo Spada) non ha guadagnato nemmeno un soldino e teme i rimproveri e le botte del padre-padrone. Decide, allora, di riscaldarsi, mangiare e giocare inventan- dosi un altro mondo fuori dal mondo , letterario o filmico an- te litteram poco importa. Ed è così che diventa sceneggiatri- ce, produttrice, attrice, regi- sta e spettatrice di se stessa. La durata è di pochi secondi (il tempo di una fiammata ), anco- ra più breve della prima bobi- na dei Lumière, ed è ovvio che il suo film è solo un abbozzo, ma in quelle immagini ci sono già tutte le caratteristiche del nuovo linguaggio: scenogra- fia, inquadratura, dissolvenza, sovrimpressione, montaggio, gioco di luci. Nell’arena all’a- perto della strada, la scatola di fiammiferi fa da proiettore e a creare il buio in sala ci pensa la natura. Le immagini nascono, acquistano movimento, attrag- gono, seducono, ingannano. Nessuna meraviglia scopri- re che da questa fiaba hanno tratto ispirazione in epoche di- verse registi di tutte le nazio- ni. Nessuna meraviglia se, in questo 2020 di cinema chiusi, aggiungiamo anche la nostra personale versione, trasfor- mando le parole di Andersen in 3 cortometraggi da proiet- tare nello schermo della nostra fantasia. Corto n. 1: Il calore della stu- fa. « Si accese una fiamma calda e brillante. Si accese una luce bizzarra, alla bambina sembrò di vedere una stufa di rame luccicante nella quale brucia- vano alcuni ceppi. Avvicinò i suoi piedini al fuoco… ma la fiamma si spense e la stufa scomparve ». Corto n. 2: Il nutrimento del- la tavola imbandita. « Questa volta la luce fu così intensa che poté immaginare nella casa rono il loro primo cortometrag- gio indovina e sbaglia. A dargli ragione, sarebbero gli storici; a dargli torto, i letterati. Come al solito, tutto dipende da per- sonali punti di vista e, soprat- tutto, da ciò che si intende per cinema. Le definizioni abbondano e, per non fare torto a nessu- no, scelgo il punto di vista di Italo Calvino così come appare in Autobiografia di uno spet- tatore che fa da introduzione ai «Quattro film» di Federico Fellini. Nell’intervista conces- sa a Lietta Tornabuoni («La Stampa» del 23 agosto 1981), Calvino, che quell’anno era sta- to designato presidente della giuria alla Mostra di Venezia, dopo avere confessato che du- rante gli anni della sua forma- zione il cinema era stato il mez- zo privilegiato per intravedere l’immagine stessa del mondo, confronta il linguaggio del cine- ma con quello della letteratura e definisce la sua esperienza di giovane spettatore «un misto di miracolo e inganno ». C’è, in questa affermazione dello scrittore italiano, non so- lo l’allusione alla reazione de- gli spettatori di fronte ai primi cortometraggi della storia del cinema, ma anche un omag- gio a quel cinema fiabesco inventato, ben 47 anni prima (1848), da La piccola fiammife- raia del danese Hans Christian Andersen. Rileggiamola, magari con un occhio all’attualità. Notte di San Silvestro. Una bambina si aggira a piedi nudi per la città cercando inutil- mente di vendere fiammiferi. Le strade sono deserte, ma non c’è nessuna pandemia e nessun lockdown . La malattia si chia- ma indifferenza. La bimba ha freddo, ha fame ed è triste. Non vuole tornare a casa perché

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