Novembre-Dicembre 2018
gnie cinesi, fenomeno del landgrabbing, in- teressate a produrre semi oleosi per ottene- re il carburante necessario alle loro indu- strie, o per coltivare il territorio al foraggio necessario all’allevamento bovino pianifica- to in Qatar? E si tratta di aree immense, va- ste milioni di ettari di terra, dove la semina si effettua con elicotteri: una striscia che va dal Senegal sull’Atlantico al Madagascar nell’Oceano Indiano. Coltivatori espulsi dai loro terreni solo perché, in un contesto di analfabetismo, non in grado di esibire i do- cumenti richiesti o vittime di una classe di- rigente spaventosamente corrotta. Come respingere ni- geriani o con- golesi il cui paese è attra- versato da ban- de che rapisco- no e si vendono ostaggi per avere armi in cambio, da sol- datesche che si fanno guerre spietate per accaparrarsi le ricche miniere di coltan, ura- nio, diamanti o i pozzi petroli- feri, che arruolano bambini soldato, che prevedono, come in Eritrea, il servizio mili- tare a vita? Dove poi non bastano territori, diamanti, petrolio, coltan o oro, ci sono ci sono le guerre per l’acqua: le colossali dighe delle Tre Gole sul Fiume Azzurro, quella sul Me- kong ed altri immensi fiumi asiatici hanno, infatti, sì lo scopo di produrre energia elet- trica, ma soprattutto di controllare le risor- se idriche. Questo dell’acqua è un dramma nel dramma: ad oggi, 2018, più di due mi- liardi di persone non ha accesso all’acqua potabile e si ipotizza che le prossime guerre saranno scatenate proprio per il controllo di questa indispensabile risorsa. Questo il quadro della situazione. In tale contesto, che fare? Innanzi tutto, ha sottolineato il dott. Lu- cio Prodam in chiusura, prendere atto del fenomeno e riportarlo nella sua reale di- mensione senza farsi condizionare da allar- mismi mediatici spesso usati ad arte per fini politici o peggio elettorali. E poi riandare con il pensiero indietro nel tempo a quan- do, alla fine della seconda guerra mondiale, era l’Europa a trovarsi in condizioni disa- strose. Allora, non necessariamente per mo- tivi umanitari, certamente anche e soprat- tutto come mezzo di strategia politica e per definire i campi di influenza mondiale, il nostro continente in tempi relativamente molto brevi fu rimesso in carreggiata: il pia- no funzionò e l’Europa uscì dalla crisi, e non solo: divenne un partner econo- mico privilegia- to del paese che l’aveva aiutata. Paese e piano che hanno un nome: Piano Marshall, USA. Si trattò di un piano colos- sale, un’opera- zione preparata con immensa capacità, di straordinaria lungimiranza, un piano non so- lo economico che risollevò l’Europa sotto tutti i profili. Richiese però, per i quattro anni che du- rò, un consistente innalzamento della pres- sione fiscale a carico di tutti i cittadini USA ed uno stanziamento a fondo perduto del 10% del bilancio americano. Potrebbe oggi la nostra Europa fare qualcosa del genere per l’Africa? Rapporta- to all’attuale bilancio europeo si trattereb- be di un esborso di circa 2 mila miliardi di euro… Certamente una manovra di tale portata non sarebbe accolta con facilità e sarebbe molto impegnativa da pianificare e realizza- re; si potrebbe però quantomeno comincia- re a pensarci e riflettere insieme cercare le vie di quella convivenza tra popoli tanto in- vocata dal nostro Santo Padre. ( Marina Del Fabbro ) 37 LA SCUOLA E L’UOMO - Anno LXXV - Numero 11-12 - Novembre-Dicembre 2018
Made with FlippingBook
RkJQdWJsaXNoZXIy NTYxOTA=