Monica Rovetta
Vorrei parlarvi dell’amica Fausta Perucci (da sempre l’abbiamo chiamata così, anziché Fausta Monelli), ma non saprei dove soffermarmi a raccontare di una vita così lunga, intensamente vissuta fino all’ultimo. Di un’amicizia unica, anche per la distanza d’età, più adatta a un rapporto filiale. Di un affetto profondo, cresciuto negli anni, al quale vorrei rendere omaggio.
Fausta giunse nella nostra città con la famiglia a fine anni ‘60, perché il marito Carlo era stato chiamato da Aldo Agazzi come docente per contribuire allo sviluppo della facoltà di Pedagogia dell’Università Cattolica, istituita pochi anni prima. Il loro entusiasmo nel voler portare un cambiamento nel mondo della scuola creò non poco scompiglio, in una Brescia, ben viva nello sviluppo della riflessione pedagogica, ma, come dappertutto, ancora un po’ sonnacchiosa nella vita scolastica, tranne qualche rara eccezione.
Fausta, in servizio alla scuola media Kennedy, come un terremoto iniziò a rivoluzionare la didattica, assecondata, come lei stessa raccontava, dai colleghi, per lo meno dai più sensibili, e pian piano anche dai genitori, che proprio in quel periodo, iniziavano a partecipare alla vita scolastica. Lunghe sere di riunioni a scuola, diceva, un po’ accampati alla meglio, per coinvolgere le famiglie nei tanti progetti per una scuola che davvero aderisse alla sfida introdotta dalla riforma del 1962: la scuola media unica, a favore di giustizia sociale, gratuità, orientamento al futuro. Un progetto di scuola fortemente voluta e in gran parte sognata e scritta dallo stesso Perucci. Il prof. Perucci che battè l’Italia intera palmo a palmo per convincere della validità educativa di tale progetto generoso, e – non dobbiamo nasconderlo – anche a lungo contrastato.
Io all’epoca ero studentessa all’Arnaldo dove era iscritta anche la figlia Caterina. Ricordo le riunioni serali con i genitori organizzate e condotte da papà Perucci per promuovere la cultura della partecipazione negli OO CC introdotta dai Decreti Delegati.
Dunque la scuola: un lavoro, una passione, una dimensione totalizzante di vita, che riassumeva le declinazioni in cui l’etica dell’impegno di Fausta si era espressa fino a quel momento:
insegnante prima a Roma, dal ‘51, e insieme formatrice per insegnanti e dirigenti, anche dopo la pensione, in giro per l’Italia.
Ma non bastava: all’insegnamento si affiancò, già nel ‘58, un’esperienza unica, la prima al mondo, quella di Telescuola, avviata in Italia come esperimento di scuola a distanza, attraverso la televisione, due anni prima di “Non è mai troppo tardi” del maestro Manzi. L’allora ministro della Pubblica Istruzione (Aldo Moro) affidò a Fausta il compito di fare lezioni di italiano in televisione: un vento riformatore prima della riforma. Questa straordinaria stagione romana vissuta a fianco di uno degli ideatori e difensori della futura scuola media non poteva restare confinata alla geografia della capitale. E, infatti, si riversò presto come un fiume anche nella città di provincia.
Ma da dove le veniva questa forza tanto dirompente? Questa etica dell’impegno, dove non c’è alternativa di fronte all’appello alla responsabilità imposto perentoriamente dagli eventi?
Sicuramente l’educazione obbligata, condizionata dall’urto con la durezza dei tempi di guerra, con cui dovette misurarsi da ragazza: troppo tremendi e violentemente invasivi gli avvenimenti storici per poter permettersi di ignorarli o porsi al riparo, e che la indussero, credo, ad accettare e ad adattarsi alla intrusività della storia nella sua giovane vita piena di progetti: a cominciare dagli studi in lettere classiche all’Università Cattolica di Milano. Lei, precoce pendolare da Fermo, facendo la spola in treno Fermo-Milano con i rischi di bombardamenti sulle linee su cui viaggiava.
Questo appello alla responsabilità diventa una cifra esistenziale, come un dovere non negoziabile, indipendente da qualunque altra cosa, aspirazioni personali, affetti, desideri. La fatica, lo sforzo richiesti non erano contemplati, non rientravano nel suo lessico. Sfera dell’interesse generale e sfera delle aspirazioni private si identificavano.
L’alternativa esisteva, naturalmente: la fuga. Ma non per Fausta, l’esempio dei suoi genitori non lo avrebbe consentito. Riecheggiano nelle sue parole gli insegnamenti del padre, o le raccomandazioni della mamma piemontese, – e non solo le ricette dei suoi dolci -, p. es. “Se vi chiedono qualcosa di buono, anche se difficile, non dite di no”: come si poteva derogare da comandamenti così scolpiti nel profondo? Forse anche per questo la sua personalità evoca qualcosa di roccioso, un’idea di fortezza, espressione di una solidità protettiva, predisposta a dare aiuto a chi lo chiedeva, ma sempre con grande pudore dei propri sentimenti, come se la lezione della storia le avesse imposto di non manifestarli esternamente, vietato concedersi di porre l’attenzione su di sé e sui propri bisogni. Roccia e dunque anche pietra d’inciampo, esigente verso gli altri in quanto e molto più esigente verso se stessa.
Per lei, come per altre donne della sua generazione, si può forse parlare di una eroicità feriale, declinata al femminile, che rimarrà come impronta costante anche nella vita ordinaria, per cui le incognite e i pericoli non fanno desistere dall’obbligo morale di affrontarli.
Una personalità siffatta, abituata a combattere una sua guerra con ogni sorta di pericoli e imprevisti, non poteva non incrociare e unire al suo il destino del suo futuro marito, altrettanto dedicato a costruire il bene di tutti, sia durante la guerra, capendo da subito da che parte stare molto prima dell’8 settembre, comandante delle brigate partigiane in Veneto, medaglia d’argento al valor militare, sia dopo la guerra , a servizio della Costituzione nell’impegno per una scuola giusta, inclusiva, aperta a tutti, per la quale non risparmiò energie e salute. L’UCIIM, ambiente dove generosamente poterono crescere e svilupparsi e tradursi in progetti e proposte politiche le sue idee, visionarie ma non troppo, fece da cornice all’incontro con la giovane professoressa Fausta, e, anni dopo, più modestamente, nella sezione di Brescia, alla mia conoscenza e amicizia e stima con lei. Ma questa è un’altra storia.