Didattica della matematica
Cambia Ministro, la musica cambia.
O forse no…
Un nuovo governo si è appena affacciato sulla scena politica. Nuove circolari invitano a fare o a non fare. Uno studio che non ha nulla di scientifico riaccende il dibattito sul digitale a scuola, una discussione continua che lascia gli esperti senza parole, o, meglio, con troppe parole e pochi fatti.
Chi sono questi esperti poi?
Psichiatri, psicologi, pedagogisti, logopedisti, forze dell’ordine…
Una mancanza, un vuoto fastidioso si insinua: dove sono gli insegnanti? Dove sono coloro che a scuola ci vanno per davvero, ogni giorno?
Lascio a voi l’ardua sentenza, con una frase di manzoniana memoria.
In questo marasma politico, simile alla brodaglia primordiale (chissà che non spunti per caso una nuova linfa vitale, c’è sicuramente da pregare perché avvenga il miracolo), l’insegnante continua il suo mestiere: insegnare, trasmettere sapere, suscitare la voglia di apprendere.
Quali sfide si hanno davanti? Sempre le stesse: far sì che gli allievi e gli sudenti apprendano e utilizzino il sapere per diventare adulti consapevoli e, possibilmente, felici. Casualmente, miracolosamente, qualcuno potrebbe diventare il futuro ministro dell’istruzione e, chissà, potrebbe incidentalmente considerare gli insegnanti come esperti della loro materia: insegnare.
Dopo questa lunga premessa arriviamo al sodo.
Quali sfide pone l’insegnamento della matematica?
La prima e più importante è l’attenzione e la motivazione.
Da sempre la matematica è considerata la bestia nera dello studente: lo scrivente alza la mano per primo.
Affascinante prodotto della mente umana, filosofia di altissima levatura, fatta di astrazioni assolute, si pone nella scienza come la soluzione di casi impossibili. Il numero è pura invenzione, eppure funziona e funziona in modo impressionante. Permette di comprendere il mondo e i meccanismi della natura a tal punto da imitarla: ogni azione umana è ormai condizionata dalla matematica. Resta ancora appannaggio di pochi la comprensione dei meccanismi: esoterismo pitagorico.
L’insegnante di matematica entra in classe ogni giorno con la speranza di appassionare a questa disciplina. Di fronte si trova volti giovani o giovanissimi che chiedono di imparare nel modo meno doloroso possibile: molti vogliono imparare, ma sono terrorizzati dai voti, dalla prestazione, dall’ansia, da quello che diranno i genitori (che hanno avuto le loro stesse paure e ansie, ma le riversano sui figli, insieme a tutte le altre difficoltà della vita).
Sembra incredibile, ma perfino gli antichi allievi sumeri o egizi hanno avuto le stesse paure e gli insegnanti le stesse problematiche. Siamo passati dalle tavolette di argilla e cera ai computer, carta e penna restano la base tramandata da migliaia di anni: segni tracciati su carta. Dalla carta allo schermo: la differenza è poca. Si tracciano segni partoriti dalla mente umana che mettono in comunicazione tutto il mondo: la matematica è un linguaggio universale.
Cosa è cambiato?
La tecnologia ha certamente modificato alcune connessioni neuronali: la manipolazione in tenera età è fondamentale per costruire cervelli e menti plastiche. Troppo spesso i bambini utilizzano lo schermo piatto per immaginare una realtà tridimensionale che dovrebbero toccare con mano: il profumo dei cubi di gomma colorata da impilare a caso, magari con un adulto a fianco, la comprensione delle dimensioni quando si mettono uno sopra l’altro, la frustrazione quando cadono perché il più piccolo è posto in basso. Fantastica frustrazione, fonte di comprensione e accettazione della realtà, fonte di ispirazione matematica: la casa non può essere costruita su fondamenta più strette del resto dell’edificio (speriamo che i progettisti del futuro ponte sullo Stretto lo sappiano).
Per i ragazzi questa mancanza di esperienza manipolativa, questa mancanza di frustrazione salutare, porta a pensare che tutto sia possibile e raggiungibile in breve tempo. Il tempo, tiranneggia lo studente e l’insegnante. Spesso la comprensione avviene dopo giorni o mesi, spesso troppo tardi rispetto alle aspettative della società moderna. La frustrazione porta all’idea che la matematica sia impossibile, sia solo per pochi.
È un errore fatale.
È un errore comodo: così si evita perfino la fatica dello sforzo mentale.
Come recuperare la mancanza di interesse? Tramite la manipolazione.
Si tratta di una strada percorribile, che prende tempo, ma che ritengo irrinunciabile. Attivare la manipolazione a scuola, anche alle scuole medie è necessario, grazie alla costruzione di oggetti matematici materici: cartoncino colorato, gomma crepla, scatole, oggetti vari. Costruire fisicamente giochi ispirati all’argomento di studio, in collaborazione con i compagni, attiva la strategia collaborativa per arrivare a risultati migliori.
È una strada che prende tempo, ma è tempo ben speso, perché ne farà guadagnare altro in futuro. È vero che certe connessioni si formano nella prima infanzia, ma è anche vero che il cervello è plastico e ha una grandiosa capacità di modificarsi nel tempo e con l’esperienza. La manipolazione e la creazione di giochi fisici sopperisce e risana, almeno parzialmente, alle mancanze a ai vuoti, alle interruzioni comunicative, alle mancate frustrazioni salutari. L’apprendimento manuale dona significato ai segni troppo astratti del linguaggio matematico: anche la cinestesia chiede di entrare nei processi della comprensione.
Ma allora il digitale? Diventa un utile e fondamentale strumento didattico, permette di sfruttare i canali più congeniali agli studenti. Può essere proposto in anticipo, magari tramite giochi didattici in rete secondo la flipped lesson, oppure durante la spiegazione dell’insegnante, o alla fine, come supporto alla metacognizione. Oltre ai giochi risulta utilissimo il coding, che permette di sviluppare competenze e punti di vista differenti da quelli del pensiero classico.
La progettazione creativa, se viene lasciata per ultima, diventa metacognizione. In seconda ipotesi la fase creativa è immediatamente conseguente alla fase esplicativa da parte dell’insegnante: diventa così integrante nell’apprendimento. Terza ipotesi, la fase creativa è anticipatoria dell’argomento: diventa problem solving.
Ma il tempo? Il tempo è l’amico che deve regolare le fasi dell’insegnamento e dell’apprendimento. Costruire Episodi di Apprendimento Situato o strutturare comunque le lezioni in modo che vi sia un tempo e una regolamentazione da seguire è necessario. Anche la frustrazione per non aver concluso in modo adeguato il lavoro può diventare salutare. Stimola a completare il compito non completato a casa, anche se non si dovrebbe, stimola a cercare di essere più efficienti la volta successiva: i neuroni si attivano e modificano le connessioni.
Evitiamo di restare intrappolati nell’idea che il tempo manchi per proporre attività manipolative o digitali, lavoriamo con modelli in cui il tempo è ben definito ed evitiamo le trappole ideologiche proposte da pseudostudi che tutto hanno fuorchè valore scientifico.